IN BALIA DI BONUS E INCENTIVI
In questi ultimi giorni, sono apparse due notizie che, apparentemente scollegate, sono in realtà due declinazioni della difficoltà del sistema Italia di costruirsi una prospettiva. La prima notizia è il fenomeno dei cosiddetti frontalieri, ossia coloro che abitano vicino a un confine e lo attraversano giornalmente per andare a lavorare. Il fenomeno è particolarmente evidente al confine con la Svizzera, dove lo stesso lavoro viene retribuito anche tre volte tanto. Varie sono le cause, ma la prima è che la Svizzera è un paese piccolo e ad alto valore aggiunto: le produzioni, soprattutto nel settore dei servizi, generano un valore aggiunto più elevato, che consente una maggiore remunerazione del fattore lavoro. Chiaro che vi è anche un costo della vita maggiore, ma in ogni caso conviene lavorare lì. Se poi vado avanti e indietro, e quindi ho lo stipendio svizzero e i costi italiani, la cosa diventa ancora più interessante. Questo è uno dei motivi che generano non solo la fuga di manodopera non qualificata, ma anche dei giovani a elevata scolarità. Tempo fa ascoltavo le riflessioni di un amico, dirigente di una società di consulenza milanese, che si lamentava, perché i giovani laureati italiani non restano in azienda. Alla domanda su quale fosse il trattamento economico, la risposta fu che si iniziava con 1200 euro al mese, e di fatto senza orario e senza straordinari. Il modello è lo stesso di quello dei raccoglitori di pomodori a cottimo, applicato alle professioni intellettuali.
Lo stesso lavoro in Francia, Germania, UK o in qualsiasi altro paese sviluppato sarebbe pagato 2-3 volte tanto. La seconda notizia, stavolta a livello locale, apparsa su questo giornale il 24 aprile, evidenzia un confronto tra gli investimenti volti alla riqualificazione alberghiera in Trentino e in Alto Adige, con un’analisi impietosa. Ci sono certo ottimi alberghi anche in Trentino, ma gli investimenti sono meno intensi e spesso sono investimenti difensivi, non di sviluppo. L’investimento serve innanzitutto per mantenere la clientela e non per catturare nuovi mercati e la conseguenza è che il costo della stanza non riflette, se non in parte, il ritorno dell’investimento, e i suoi costi di gestione, con la conseguenza che alla fine risulta più difficile raggiungere il break-even e si rischia di fallire. Si tratta poi di investimenti individuali, non di sistema. Mentre in Alto Adige c’è una visione sistemica, e quindi il singolo investimento viene inserito in un contesto più ampio, in Trentino tale approccio è molto difficile. Ci sono segnali di speranza, come ad esempio certi ragionamenti su un complessivo ripensamento del posizionamento turistico, che si stanno provando a fare a Peio, ma sono piccole fiammelle in un contesto che rimane abbastanza statico. Ancora, gli investimenti dell’Alto Adige sono volti a innalzare ulteriormente la qualità, abbandonando la politica della quantità, strategia che è alla base dei ragionamenti che lì si stanno incominciando a fare. La sfida è passare in modo deciso dalla quantità alla qualità: non mi appassiona il dibattito sull’aumento delle presenze, mi interesserebbe molto di più un’analisi delle marginalità che queste presenze creano. Sarebbe interessante un dibattito dove si cerca di analizzare l’impatto del turismo: economico, ambientale, sociale e da questo dibattito potrebbe anche nascere una profonda ridefinizione del modello di sviluppo del Trentino. Alla fine le due notizie che ho citato, sono figlie della medesima visione piccola del paese, che non riesce a individuare una prospettiva. Siamo ormai in balia degli incentivi e dei bonus: si investe e si consuma quasi solo in base alle agevolazioni, che tengono assieme un’economia e una società debole. Complice l’emergenza, l’Italia sempre più basa il suo tenore di vita sul debito, senza mettere in discussione nulla. Stavamo camminando sul ghiaccio sottile e si è assottigliato ulteriormente: il paese non cresceva, per colpa anche di una politica miope, che non è riuscita a fare cambiare il paese. Con la pandemia abbiamo attinto a piene mani al debito, ora con la guerra di Putin il paese non solo non vede la ripresa, ma non vede nemmeno i livelli, già tristi, di PIL del 2019. Vero, il problema riguarda tutti i paesi occidentali, ma l’Italia è più colpita, perché il combinato debito pubblico e crescita economica, ci mette con le spalle al muro.
Alla fine, per uscirne, serve avere una visione, sia a livello nazionale, sia locale. Come immaginiamo l’Italia e il Trentino Alto Adige nel 2035? Si tratta di un periodo non lunghissimo, ma sul quale si può costruire una prospettiva, e, rimboccandosi le mani e giocando di squadra, si può provare a portarla a casa. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, nei prossimi mesi temo che assisteremo non a un dibattito politico alto su simili temi, ma a frasi vuote sull’unità, sul programma prima delle persone, e cose del genere, dove il punto di caduta è sempre e solo quello di mettere al sicuro i big dei vari schieramenti, ricorrendo a deroghe e trucchetti vari. In definitiva, non c’è una grande differenza tra il bonus, che funge da booster a un’economia sempre più stanca, e la deroga all’ennesimo mandato. Ma deroga per cosa? Potremo mai immaginare un dibattito concreto sul futuro? Il tempo che ci separa dalle prossime elezioni politiche e amministrative è cortissimo…