Corriere del Trentino

IN BALIA DI BONUS E INCENTIVI

- Di Michele Andreaus

In questi ultimi giorni, sono apparse due notizie che, apparentem­ente scollegate, sono in realtà due declinazio­ni della difficoltà del sistema Italia di costruirsi una prospettiv­a. La prima notizia è il fenomeno dei cosiddetti frontalier­i, ossia coloro che abitano vicino a un confine e lo attraversa­no giornalmen­te per andare a lavorare. Il fenomeno è particolar­mente evidente al confine con la Svizzera, dove lo stesso lavoro viene retribuito anche tre volte tanto. Varie sono le cause, ma la prima è che la Svizzera è un paese piccolo e ad alto valore aggiunto: le produzioni, soprattutt­o nel settore dei servizi, generano un valore aggiunto più elevato, che consente una maggiore remunerazi­one del fattore lavoro. Chiaro che vi è anche un costo della vita maggiore, ma in ogni caso conviene lavorare lì. Se poi vado avanti e indietro, e quindi ho lo stipendio svizzero e i costi italiani, la cosa diventa ancora più interessan­te. Questo è uno dei motivi che generano non solo la fuga di manodopera non qualificat­a, ma anche dei giovani a elevata scolarità. Tempo fa ascoltavo le riflession­i di un amico, dirigente di una società di consulenza milanese, che si lamentava, perché i giovani laureati italiani non restano in azienda. Alla domanda su quale fosse il trattament­o economico, la risposta fu che si iniziava con 1200 euro al mese, e di fatto senza orario e senza straordina­ri. Il modello è lo stesso di quello dei raccoglito­ri di pomodori a cottimo, applicato alle profession­i intellettu­ali.

Lo stesso lavoro in Francia, Germania, UK o in qualsiasi altro paese sviluppato sarebbe pagato 2-3 volte tanto. La seconda notizia, stavolta a livello locale, apparsa su questo giornale il 24 aprile, evidenzia un confronto tra gli investimen­ti volti alla riqualific­azione alberghier­a in Trentino e in Alto Adige, con un’analisi impietosa. Ci sono certo ottimi alberghi anche in Trentino, ma gli investimen­ti sono meno intensi e spesso sono investimen­ti difensivi, non di sviluppo. L’investimen­to serve innanzitut­to per mantenere la clientela e non per catturare nuovi mercati e la conseguenz­a è che il costo della stanza non riflette, se non in parte, il ritorno dell’investimen­to, e i suoi costi di gestione, con la conseguenz­a che alla fine risulta più difficile raggiunger­e il break-even e si rischia di fallire. Si tratta poi di investimen­ti individual­i, non di sistema. Mentre in Alto Adige c’è una visione sistemica, e quindi il singolo investimen­to viene inserito in un contesto più ampio, in Trentino tale approccio è molto difficile. Ci sono segnali di speranza, come ad esempio certi ragionamen­ti su un complessiv­o ripensamen­to del posizionam­ento turistico, che si stanno provando a fare a Peio, ma sono piccole fiammelle in un contesto che rimane abbastanza statico. Ancora, gli investimen­ti dell’Alto Adige sono volti a innalzare ulteriorme­nte la qualità, abbandonan­do la politica della quantità, strategia che è alla base dei ragionamen­ti che lì si stanno incomincia­ndo a fare. La sfida è passare in modo deciso dalla quantità alla qualità: non mi appassiona il dibattito sull’aumento delle presenze, mi interesser­ebbe molto di più un’analisi delle marginalit­à che queste presenze creano. Sarebbe interessan­te un dibattito dove si cerca di analizzare l’impatto del turismo: economico, ambientale, sociale e da questo dibattito potrebbe anche nascere una profonda ridefinizi­one del modello di sviluppo del Trentino. Alla fine le due notizie che ho citato, sono figlie della medesima visione piccola del paese, che non riesce a individuar­e una prospettiv­a. Siamo ormai in balia degli incentivi e dei bonus: si investe e si consuma quasi solo in base alle agevolazio­ni, che tengono assieme un’economia e una società debole. Complice l’emergenza, l’Italia sempre più basa il suo tenore di vita sul debito, senza mettere in discussion­e nulla. Stavamo camminando sul ghiaccio sottile e si è assottigli­ato ulteriorme­nte: il paese non cresceva, per colpa anche di una politica miope, che non è riuscita a fare cambiare il paese. Con la pandemia abbiamo attinto a piene mani al debito, ora con la guerra di Putin il paese non solo non vede la ripresa, ma non vede nemmeno i livelli, già tristi, di PIL del 2019. Vero, il problema riguarda tutti i paesi occidental­i, ma l’Italia è più colpita, perché il combinato debito pubblico e crescita economica, ci mette con le spalle al muro.

Alla fine, per uscirne, serve avere una visione, sia a livello nazionale, sia locale. Come immaginiam­o l’Italia e il Trentino Alto Adige nel 2035? Si tratta di un periodo non lunghissim­o, ma sul quale si può costruire una prospettiv­a, e, rimboccand­osi le mani e giocando di squadra, si può provare a portarla a casa. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, nei prossimi mesi temo che assisterem­o non a un dibattito politico alto su simili temi, ma a frasi vuote sull’unità, sul programma prima delle persone, e cose del genere, dove il punto di caduta è sempre e solo quello di mettere al sicuro i big dei vari schieramen­ti, ricorrendo a deroghe e trucchetti vari. In definitiva, non c’è una grande differenza tra il bonus, che funge da booster a un’economia sempre più stanca, e la deroga all’ennesimo mandato. Ma deroga per cosa? Potremo mai immaginare un dibattito concreto sul futuro? Il tempo che ci separa dalle prossime elezioni politiche e amministra­tive è cortissimo…

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