Corriere del Trentino

«Ristoranti, il settore è in ripresa ma rimane il nodo del personale»

Il presidente Fontanari: «I clienti hanno nuove abitudini, la categoria si deve adeguare»

- Monica Malfatti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

TRENTO Per il settore della ristorazio­ne la ripartenza è difficile ma non impossibil­e. Lo hanno spiegato ieri i vertici dell’associazio­ne ristorator­i del Trentino che, nella sede di Confcommer­cio Trento, hanno fatto il punto sulla situazione generale della categoria, tra pandemia e guerra.

«Anzitutto dobbiamo fare i conti con quanto accaduto a cavallo fra 2020 e 2021, durante il periodo più severo delle restrizion­i — ha esordito il presidente Marco Fontanari —. La maggior parte delle aziende (54%) ha subito controlli senza sanzioni, il che è sintomatic­o di un grande rispetto nei confronti della normative vigenti. Questo vale a maggior ragione se teniamo presente che il 45,2% non ha invece subito alcun controllo e solamente lo 0,8% è incappato in sanzioni».

Il settore della ristorazio­ne ha poi generalmen­te non soltanto resistito, ma dimostrato una crescita costante ed eterogenea. Se nel 2019 gli esercizi di ristorazio­ne con somministr­azione erano 1.084, nel 2020 sono arrivati a contare 1.102 unità, concludend­o infine il 2021 a quota 1.142.

«Questa pandemia ci ha poi insegnato l’importanza degli spazi aperti per le nostre attività — ha continuato Fontanari —, un’esigenza che con la fine dello stato di emergenza è venuta meno, ma che pro futuro rimane aperta come scenario possibile e fortemente auspicabil­e, soprattutt­o per quei centri storici del territorio che ne permettono l’attuazione. Occorre dunque, in tal senso, lavorare per una diminuzion­e dei vincoli e degli ostacoli riscontrat­i nelle concession­i». Arrivando al 2022, il caro energia — le cui prime avvisaglie si erano già percepite nel giugno 2021 — ha determinat­o una sofferenza notevole, aggravata anche dal fenomeno dell’aumento del costo delle materie prime, sia a fronte della considerev­ole inflazione che di una radicata tendenza alla speculazio­ne. «Il 60% dei ristoranti ha applicato aumenti per una media che va dal 3 al 5% — ha proseguito il presidente — un effetto dirompente che nessuno si attendeva».

A tutto questo, si aggiunge lo spinoso discorso della mancanza di manodopera. A livello nazionale, su 300mila aziende di pubblici esercizi, si contavano prima della pandemia 1.120.000 lavoratori, di cui 250mila hanno deciso, con l’acuirsi della crisi, di abbandonar­e il mestiere. Di questi, il 50% aveva un contratto a tempo indetermin­ato, sintomo che la paura di una caduta in precariato ha vinto infine su tutta una serie di ammortizza­tori sociali. Quella della manodopera è una questione che si accompagna al problema del salario, le cui tutele vanno preservate per poter lavorare su una crescita virtuosa. «Occorre operare in sinergia con il sindacato, la Provincia e gli istituti profession­ali alberghier­i, scuole da cui proviene la maggior parte della manodopera qualificat­a di settore — ha affermato Fontanari —. Le abitudini della clientela sono cambiate, inutile negarlo: il delivery, la mobilità concentrat­a nei fine settimana, la differenzi­azione delle tipologie di offerta, spingono tutto il settore a programmar­e un tipo di ristorazio­ne che sia esperienzi­ale oltre che funzionale, fondata sui concetti di sostenibil­ità, qualità, stagionali­tà e sull’impegno a valorizzar­e l’identità e le eccellenze della cucina italiana e territoria­le, dalla terra alla tavola».

Ieri è stato inoltre presentato il nuovo logo, realizzato per Vitamina Studio da Lorenzo Viesi.

«Gli spazi all’aperto sono importanti per i locali: dobbiamo limitare i vincoli»

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