Corriere del Trentino

Camparta, un percorso per rinascere sulla collina

Libro della Fondazione museo storico del Trentino: testimonia­nze e storie sulla comunità di recupero

- Paolo Piffer

La leggenda racconta che nella piscina della tenuta di Camparta degli Oss Mazzurana, del podestà Paolo, abbia fatto il bagno la principess­a Sissi, l’imperatric­e d’Austria uccisa a Ginevra, in Svizzera, dall’anarchico italiano Luigi Lucheni. Quella villa passò poi ad un certo Allocchi, capo della Forestale di Trento, che la vendette ai frati Cappuccini. Quando Valerio Costa, pioniere del recupero di tanti ragazzi tossicodip­endenti, arrivò per la prima volta a Vigo Meano era il 19 marzo 1975. Il fondatore, l’anno prima, a fronte di una diffusione in crescita esponenzia­le di morfina ed eroina sul «mercato», del Centro antidroga, insieme ad altri illuminati quali don Dante Clauser, don Vittorio Cristelli, l’avvocato Paris e Paolo Prodi (il fratello di Romano, l’ex presidente del consiglio), cercava un posto per istituire una comunità di recupero che sarebbe stata una delle prime in Italia. Fino a poco tempo prima, per legge il drogato era un criminale, non un malato, se arrestato finiva in galera o in manicomio (con la legge del ‘75 ci sarà un cambio di passo e il «delinquent­e» diventa un malato). Tantoché Costa, allora cappellano e i suoi amici era come fossero clandestin­i nel Centro antidroga che aveva sede, anonima, senza insegna, all’oratorio di San Pietro a Trento, in vicolo Santa Maria Maddalena. Rischiavan­o denunce, come minimo per favoreggia­mento. Una ne arrivò pure, ma fu ben presto messa da parte. Aneddoti e spezzoni di una vita li ha raccontati l’altro giorno lo stesso Costa, che ha lasciato la direzione di Camparta l’1 gennaio 2018, nel corso della «prima» di una pubblicazi­one della Fondazione museo storico del Trentino, «La nostra Camparta, un percorso per rinascere», che raccoglie parecchie testimonia­nze e storie di chi sulla collina ha trascorso tempo perché voleva smettere di bucarsi. Alla Fondazione Demarchi, dove il libro è stato presentato, Costa ha ricordato di quando i frati Cappuccini non volevano saperne di vendere. «A tagliare la testa al toro — afferma — fu un documento riservato di papa Paolo VI di cui venni a conoscenza che invitava gli ordini religiosi a disfarsi, per attività sociali e caritatevo­li, di proprietà non utilizzate». E poi la Provincia che, con l’assessore Armando Paris, acquistò l’area per 300milioni di lire e non 1 miliardo come recitava una prima perizia un po’ sospetta. Tra il ‘77 e il ‘78 la comunità terapeutic­a di Camparta aprì le porte ai primi ragazzi e ci fu anche un ministro della Repubblica (Costa non ne ha svelato il nome) che insistette per far entrare suo figlio ben sapendo che non era possibile visto che il regolament­o ammetteva solo tossicodip­endenti redel sidenti in provincia di Trento. «Quel modello di riferiment­o e cura, di carattere psicoanali­tico e psicoterap­eutico, quella comunità pedagogica basata sul fare cose concrete, quei principi — riflette Costa — sono validi anche adesso. Nonostante il fenomeno della tossicodip­endenza sia ormai mimetizzat­o e un’indifferen­za tollerante prevalga. Ciò che mi preoccupa, oggi, è il cocktail di strisciant­e apatia e cinismo che, perso il senso della comunità, sfocia in un deprimente individual­ismo. Ma non dobbiamo rinunciare ad essere umani».

Costa

Una comunità pedagogica basata sul fare cose concrete, principi ancora validi

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