Trentino, scatta l’allarme stipendi
Il gap salariale con Bolzano e Nordest va dai 1.500 ai 2.200 euro. E l’aumento dei prezzi fa paura
Operai e funzionari pubblici con salari più bassi rispetto ai colleghi altoatesini o dell’intera area del nord-est. È quanto emerge dall’osservatorio statistico dell’Inps, che prende in esame l’imponibile previdenziale. In generale, un lavoratore del settore privato percepisce meno della media nazionale, 20.082 euro contro 20.652 euro. Più netto il divario con l’Alto Adige, che si aggira attorno ai 2.200 euro. Di fronte a livelli salariali di questo tipo e all’aumento generale dei prezzi al consumo i sindacati parlano di «rischio bomba sociale, oltre che di rischio economico». Due le richieste alla Provincia: intervenire con più risorse per sostenere nell’immediato le famiglie in difficoltà ed impedire alle aziende che non applicano i contratti collettivi nazionali di accedere ai contributi pubblici. «La giunta inizi ad affrontare i veri problemi», dice Grosselli della Cgil.
TRENTO I sindacati parlano di «bomba sociale». Il perché di un’espressione così forte scaturisce da un cocktail di fattori potenzialmente esplosivo. Ad aprile in regione si è registrata l’inflazione più elevata d’Italia (+7,7% su base annua), quindi fare la spesa è sempre più costoso. Ma in Trentino, a differenza dell’Alto Adige, i salari dei lavoratori del settore privato (non agricolo) e anche di quello pubblico sono più bassi sia rispetto alla media del nordest sia rispetto alla media nazionale. Cgil, Cisl e Uil chiedono principalmente due cose alla Provincia: da un lato sostenere («davvero») le famiglie in difficoltà con i bonus, aumentando le risorse, dall’altro premiare le aziende che applicano i contratti collettivi, escludendo le altre dalla possibilità di ricevere contributi provinciali.
Ma veniamo ai dati. Gli ultimi disponibili nelle tabelle Inps sono quelli relativi all’anno 2020. Se si guarda il trend degli anni precedenti la sostanza non cambia. Nota metodologica, come direbbero gli statistici: per retribuzione media annua ci si riferisce all’imponibile previdenziale, ossia l’importo precedente alla detrazione dei contributi Inps a carico del lavoratore (9,19%) e delle imposte sul reddito (che variano a seconda della fascia reddituale). Dentro c’è quasi tutto: paga base, scatti di anzianità, straordinari, superminimi (chi ne può godere). Nell’imponibile previdenziale non ci sono invece i contributi per la previdenza complementare o l’assegno unico, che non sono calcolati quindi nelle retribuzioni prese in esame.
Fatta questa premessa, dalle tabelle Inps emerge che la retribuzione media annua di un operaio trentino (e per operaio si intende chi svolge mansioni prevalentemente manuali: si va dal metalmeccanico al cuoco) è inferiore sia rispetto a quella di un collega altoatesino sia rispetto a quella di un operaio impiegato nell’area del nordest: in provincia di Trento la retribuzione si ferma a 15.682 euro, mentre in provincia di Bolzano ammonta a 17.258 euro (-1.576) e nel nord-est a 17.032 euro (-1.350). In questo caso il dato trentino è superiore se confrontato con la media nazionale, che si attesta a 14.775 euro (+907). Non è così se si osserva invece la categoria dei lavoratori del settore privato (non agricolo) nel suo complesso, inclusi quindi anche gli impiegati, i dirigenti, gli apprendisti, i quadri ed altri. In Trentino la retribuzione media di questi 163.730 lavoratori è di 20.082 euro annui: 576 in meno rispetto alla media nazionale, 1.859 in meno rispetto alla media del nord-est e 2.278 in meno rispetto alla media altoatesina. «I dati testimoniano la diffusione del lavoro povero sul nostro territorio», osserva il segretario generale della Cgil del Trentino Andrea Grosselli.
La situazione non cambia nel comparto pubblico. Gli oltre 50.000 lavoratori impiegati in Trentino percepiscono mediamente un reddito più basso: 1.675 euro in meno rispetto alla media nazionale, 629 euro in meno rispetto alla media del nord-est e addirittura 5.462 euro in meno rispetto alla media altoatesina.
Ed ora con l’aumento generalizzato dei prezzi (nei supermercati, nei ristoranti, nei ne
Chi non applica i contratti collettivi non dovrebbe accedere ai contributi pubblici: la Provincia intervenga
gozi di elettronica, ecc.) il potere d’acquisto dei consumatori tende a ridursi. Soprattutto in Trentino, dove l’inflazione viaggia a ritmi elevati. A livello nazionale il premier Mario Draghi ha proposto un patto sociale fra imprese e sindacati per affrontare il tema salariale. Da una parte però Confindustria sostiene il taglio del cuneo fiscale, dall’altra il sindacato rivendica aumenti retributivi. Intanto a livello europeo è stato raggiunto l’accordo per il salario minimo per «tutelare la dignità del lavoro». In Italia non è previsto il salario minimo legale, ma c’è la contrattazione collettiva. «Il salario minimo dovrebbe partire dai minimi dei contratti collettivi nazionali, che vanno però valorizzati», sintetizza il pensiero dei tre sindacati confederali Andrea Grosselli. Il quale, proprio sui contratti collettivi, avanza una prima richiesta alla Provincia, presentata già da tempo insieme ai segretari generali della
Uil, Walter Alotti, e della Cisl, Michele Bezzi. «Da un anno e mezzo c’è un disegno di legge proposto dal consigliere Olivi (del Partito Democratico, ndr) che chiede una cosa semplice: dare i contributi provinciali solo alle aziende che rispettano i contratti collettivi firmati dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, ma la giunta si è sempre opposta perché appesantirebbe il carico burocratico».
Nel frattempo la condizione salariale «sta diventando una bomba sociale, oltre che un rischio economico, per il Trentino». Nell’immediato i sindacati esortano Piazza Dante a fare uno sforzo sul bonus bollette: innanzitutto semplificando le procedure, «perché ad oggi sulle circa 70.000 famiglie previste ne sono state raggiunte solo 16-17.000», e poi aumentando le risorse, attingendo dai circa 40 milioni attesi dalla tassazione sugli extraprofitti delle aziende energetiche. «Abbiamo parlato di Vasco Rossi per mesi come se fosse la soluzione di tutti i problemi, ma non è cambiato niente — conclude Grosselli — La giunta deve smettere di parlare di altro e iniziare ad affrontare i problemi veri».