«La magistratura è intangibile, ora si cambi»
Il 12 giugno si vota. Andrea De Bertoldi: la posizione di Fratelli d’Italia non è univoca sui cinque quesiti. Ma chiedete comunque ai cittadini di andare alle urne. Perché?
«Il nostro appello agli elettori è di andare ai seggi. E votare sì o no a seconda delle loro convinzioni: è il modo serio di affrontare un referendum. Ma poi nel merito, è anche importante che la magistratura esca dalla sua sfera di dorata intangibilità: è giusto metterla in discussione, e altrettanto giusto è che i cittadini partecipino allo sforzo di migliorarla».
Entrando nel merito, la vostra posizione.
«Noi chiediamo agli elettori tre sì e due no. Non significa che condividiamo lo spirito delle due norme di cui chiediamo venga respinta l’abrogazione, ma crediamo che in quei due casi, sulle misure cautelari e sulla legge Severino, non si possa prescindere da una modifica ponderata attraverso il lavoro parlamentare. Ancora più chiaro, crediamo che l’abrogazione possa portare più danni che benefici, anche se sono norme da rivedere».
Partiamo dai tre sì, perché?
«Sulla separazione delle carriere ci battiamo da anni. Nel processo ci sono tre parti: la difesa, l’accusa e il giudice. Separate e diverse. Chi giudica non può appartenere alla stessa famiglia di chi accusa. Servono percorsi professionali distinti, preparazioni diverse e nessuna commistione. A dimostrare poi la necessità di eliminare le correnti, che hanno rovinato la magistratura, penso che il caso Palamara basti e avanzi. Togliere la necessità delle raccolta delle firme per le candidature al Csm è un primo passo in quella direzione. Non penso che basti, e infatti i nostri emendamenti alla riforma della giustizia vanno in direzione molto più radicale: chiediamo che sia un sorteggio tra i candidati a individuare i componenti del Csm. Ma già eliminare la raccolta dei consensi toglie spazio di manovra alle correnti e permette a tutti i magistrati di concorrere alla gestione della magistratura. Ammettere infine anche i membri non togati, un terzo dei consigli, a giudicare l’operato dei giudici è una garanzia di equità. Ancora una volta sottraendo spazio alle correnti».
Restano i due no: legge Severino e misure cautelari.
«Si tratta di due norme che vanno modificate. La legge Severino cozza contro la presunzione di innocenza: una condanna in primo grado non significa colpevolezza, per i nostri principi costituzionali. E se vale in ogni campo, deve valere anche per chi fa politica. Quella norma va riformata prevedendone l’applicabilità solo a condanna passata in giudicato. Ma abrogarla espone al rischio di mandare il messaggio che anche i corrotti possono fare politica. E poi crea un vuoto legislativo che lascia mani libere ai giudici. I quali con la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, possono a loro discrezione decidere chi potrà fare politica e chi no. Quindi norma da rivedere, ma che non possiamo cancellare: l’abrogazione rischia di aprire il campo a effetti peggiori di quelli che si vogliono evitare».
Restano le misure cautelari giustificate dal rischio che l’accusato commetta di nuovo lo stesso reato.
«Il discorso è simile. Vanno contenute e regolamentate meglio, perché è evidente che la carcerazione preventiva è stata usata anche come forma di coercizione, per spingere qualcuno a confessare. Ma sono abusi da contrastare, non un principio da eliminare. Per esempio, il rischio che la picchi di nuovo è l’argomento che permette di allontanare un marito violento dall’abitazione della moglie. Vogliamo dire che è sbagliato? È una norma da riformare, non da cancellare. Per questo il nostro no».