Corriere del Trentino

«Basta correnti, serve terzietà e imparziali­tà»

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Domenica 12 giugno si vota per cinque referendum. Un appuntamen­to che a oggi non ha certamente infiammato il dibattito politico. Donatella Conzatti: tra tutti, il suo partito, Italia Viva, è quello che più esplicitam­ente si è espresso per il sì a tutti e cinque i quesiti. Innanzitut­to, perché bisogna votare?

«Bisogna votare prima di tutto per rispetto dell’istituzion­e del referendum e dei cittadini che hanno proposto e sostenuto con le loro firme questi quesiti. E poi perché i cittadini sono chiamati a esprimersi su temi forse un po’ tecnici e quindi non di immediata lettura, ma comunque molto importanti».

Nella percezione comune, il Referendum è uno strumento che dovrebbe dirimere temi controvers­i dal punto di vista etico o culturale: scelte divisive sulle quali si chiede direttamen­te al corpo elettorale di esprimere una maggioranz­a. Paradossal­mente, i tre non ammessi, su eutanasia, liberalizz­azione della cannabis e responsabi­lità dei magistrati, erano molto più vicini a questa idea.

«Erano più immediati, di comprensio­ne più semplice. Ma i cinque ammessi sono altrettant­o importanti. Si parla di giustizia da riformare e abbiamo visto delle chiare distorsion­i nella gestione della magistratu­ra: il diritto di avere una magistratu­ra terza, al di sopra anche solo del sospetto, è fondamenta­le per i cittadini. Che devono avere totale fiducia in chi impone il rispetto delle regole del gioco: è una base irrinuncia­bile della vita di un Paese».

E i tre quesiti che riguardano i magistrati vanno in questa direzione?

«Sì. Sottrarre i magistrati al gioco delle correnti, e quindi in qualche modo della politica, è garanzia della loro imparziali­tà. Separare la carriera inquirente da quella giudicante significa fare chiarezza, fissare dei ruoli senza rischiare anche solo il sospetto di commistion­i. Permettere anche ai membri non togati di valutare l’operato dei giudici è una garanzia. E non solo per i cittadini, ma per gli stessi magistrati».

Gli altri due quesiti riguardano più direttamen­te la generalità dei cittadini.

«In entrambi i casi, si tratta di rivedere norme che hanno mostrato di prestarsi in qualche misura a utilizzi strumental­i e a danno del diritto che ha ognuno di essere considerat­o innocente fino a giudizio definitivo contrario. Le misure cautelari prevedono una eccezione a questo principio: per fondati e precisi motivi, si può limitare la libertà di una persona anche nella fase in cui è ancora solo accusata di un reato. Ma il pericolo di reiterazio­ne del reato, la previsione oggetto del referendum, apre a un giudizio completame­nte discrezion­ale da parte del giudice. La legge Severino, che prevede l’incandidab­ilità di chi ha subito una condanna, allo stesso modo lede la presunzion­e di innocenza. In moltissimi casi ha segnato la fine della vita politica di persone che si sono poi rivelate innocenti».

L’obiezione da parte del comune cittadino potrebbe essere che sono tutti aggiustame­nti tecnici, modifiche non struttural­i. E che come tali dovrebbero essere oggetto della azione legislativ­a del Parlamento.

«Fa il paio con l’obiezione politica che le riforme devono essere elaborate e mediate in un quadro complessiv­o, non portate avanti a colpi di referendum. E sono osservazio­ni corrette. Ma se la politica si blocca, se non è in grado di procedere con le riforme, i referendum possono diventare necessari. Questi referendum costringer­anno la politica a superare lo stallo e arrivare a un accordo sulla riforma della giustizia a cui si lavora da tempo. Peraltro, si tratta di temi che nessuna maggioranz­a, nemmeno in passato, ha voluto o saputo affrontare».

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