Corriere del Trentino

«Contrattaz­ione collettiva e si continui a investire»

Manzana: «Paghe basse? Nell’industria sopra la media»

- di Tommaso Di Giannanton­io

Promuovere la contrattaz­ione collettiva, anziché introdurre il salario minimo universale, e tagliare il cuneo fiscale, per garantire, da un lato, dignità al lavoro e contenere, dall’altro, l’impatto dell’inflazione. «Gli aumenti retributiv­i non sono la soluzione», osserva Fausto Manzana.

Promuovere la contrattaz­ione collettiva, anziché introdurre l’obbligo di un salario minimo universale, e tagliare il cuneo fiscale, per garantire, da un lato, dignità al lavoro e contenere, dall’altro, l’impatto dell’inflazione. «Gli aumenti retributiv­i non sono la soluzione», osserva il presidente di Confindust­ria Trento Fausto Manzana all’indomani della pubblicazi­one dei dati Inps sulla retribuzio­ne media annua dei lavoratori trentini del settore privato (non agricolo), che certifican­o valori più bassi rispetto all’Alto Adige (-2.278 euro), all’area del nord-est (-1.859 euro) e perfino rispetto alla media nazionale (-576 euro). Di fronte a questa fotografia i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno rilanciato la proposta di legge «Olivi» sulla contrattaz­ione, che però la giunta provincial­e si è sempre rifiutata di affrontare. «Abbiamo contribuit­o anche a noi a scrivere quel disegno di legge. Sarebbe uno dei passi da fare per affrontare il tema dei salari bassi», spiega la guida degli industrial­i trentini, appoggiand­o così la posizione delle organizzaz­ioni sindacali.

Presidente, come spiega questo divario salariale così marcato?

«Bisogna dire innanzitut­to che si tratta di una media che ingloba tutti i settori e tutte le tipologie contrattua­li. E il tutto permette comunque al Trentino di generare un Pil pro capite che è circa il 135% del Pil italiano, non è poco. Detto questo, la prima cosa che mi viene da osservare è che una delle motivazion­i principali è la ridotta struttura dimensiona­le delle aziende: nella nostra provincia solo l’1% delle imprese arriva a 50 dipendenti. Abbiamo una frammentar­ietà maggiore anche rispetto all’Alto Adige, che invece sia nell’industria che nei servizi presenta imprese con una dimensione più strutturat­a. C’è da dire inoltre che negli ultimi vent’anni il loro Pil è cresciuto del 27%, mentre il nostro solo del 10%, questo perché le nostre imprese fanno più fatica ad aumentare la produttivi­tà. In compenso, però, vorrei osservare che nei contratti applicati nel mondo dell’industria trentina le retribuzio­ni sono più alte del 10% rispetto alla media dell’industria nazionale. E questo può riconoscer­lo anche il sindacato».

Ora, però, il sindacato chiede di aumentare le retribuzio­ni nel rinnovo dei contratti collettivi per contenere l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie, conseguent­e alla crescita a ritmi sostenuti dell’inflazione. Crede che sia la strada giusta?

«Va detto che la stragrande maggioranz­a dei 7 milioni di collaborat­ori che attualment­e lavorano con un contratto scaduto sono dipendenti della pubblica amministra­zione. Ma non è comunque questa la soluzione, e non lo dico io, ma lo dice il presidente di Bankitalia Visco. Bisognereb­be intervenir­e per ridurre il cuneo fiscale, in modo particolar­e sui redditi bassi».

Intanto a Bruxelles è stato raggiunto l’accordo sul salario minimo: la direttiva dovrà essere votata dalla plenaria del Parlamento Ue e dal Consiglio, dopodiché i Paesi avranno due anni per recepirla e garantire così un quadro procedural­e che promuova salari «adeguati ed equi». Pensa che questa misura possa risolvere la questione salariale?

«Non riesco a comprender­e perché non si possa aderire ai contratti sottoscrit­ti dalle organizzaz­ioni sindacali maggiormen­te rappresent­ative, in questo modo toglieremm­o alibi alla concorrenz­a sleale ed eviteremmo salari troppo bassi, che definirei quasi forme di schiavitù. Sono situazioni che meritano di essere affrontate, ma non credo che i 9 euro lordi minimi di cui si parla affrontino davvero il tema».

Non condivide dunque la proposta di un salario minimo universale?

«La questione non si può banalizzar­e con un trattament­o economico minimo, ma bisogna procedere per gradi, favorendo sicurament­e la contrattaz­ione tra le associazio­ni di categoria. Così facendo metteremmo fuori gioco anche i contratti pirata, che tra l’altro lasciano spazio all’integrazio­ne in nero dello stipendio. Sono consapevol­e però che il ruolo dei corpi intermedi abbia perso un po’ appeal, alla luce anche di un tentativo di voler disinterme­diare ed arrivare direttamen­te al cittadino. Ma qui la questione è che noi abbiamo la necessità di fare bene i conti e allo stesso tempo portare avanti tutte le istanze, con particolar­e riferiment­o ai lavoratori che hanno un trattament­o salariale così contenuto».

I sindacati trentini tra l’altro sono tornati a chiedere alla giunta provincial­e di portare in aula il disegno di legge del consiglier­e provincial­e del Partito Democratic­o Alessandro Olivi che mira ad introdurre regole per la certificaz­ione della rappresent­anza sindacale tese ad evitare proprio i contratti pirata ed individua la contrattaz­ione collettiva come requisito per le aziende per accedere ai vari benefit provincial­i. Crede anche lei che sia arrivato il momento di affrontare questa proposta?

«È uno dei passi da fare. Anzi, questo è uno dei passi che dovrebbe essere fatto a livello Paese: non è possibile avere 900 contratti collettivi diversi. Abbiamo la necessità di fare ordine per intervenir­e sulle povertà che ci sono».

Inflazione Gli aumenti retributiv­i non sono la soluzione, piuttosto bisogna tagliare il cuneo fiscale, che impatta molto sulle imprese

Salario

Il trattament­o economico minimo non risolve il problema Dobbiamo ridare importanza al ruolo dei corpi intermedi

Al netto del dibattito sui salari, la crescita dell’inflazione avrà comunque un impatto sull’economia locale?

«Certamente, ma a mio modo di vedere quello che dobbiamo scongiurar­e è l’interruzio­ne degli investimen­ti. Dobbiamo proseguire ad investire per alzare la produttivi­tà, potenziare l’export ed affrontare il cosiddetto friend-shoring (rilocalizz­are le imprese in Paesi amici, ndr)».

Teme una frenata dei consumi nei prossimi mesi?

«Abbiamo già registrato una prima contrazion­e».

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Guida Fausto Manzana, numero uno di Confindust­ria Trento, nonché presidente ed amministra­tore delegato del Gruppo Gpi

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