«Le mie opere preferite»
Fino al 10 settembre in mostra da Aron Demetz a Josef Rainer a Robert Pan. Sculture anche nel parco Cappuccini Alla galleria Casciaro gli artisti hanno scelto la creazione che più li rappresenta
«My favourite work», la mia opera preferita. Nascono da qui il titolo e il tema della collettiva aperta ieri (fino al 10 settembre) da Alessandro Casciaro di Bolzano (via Cappuccini 26/a): dall’invito rivolto agli artisti della galleria perché siano loro a selezionare l’opera che per qualche ragione più li rappresenta. E in nome dell’arte la mostra festeggia il recupero della socialità «invadendo» pacificamente anche il parco dei Cappuccini. Per scherzare ancora di più su questi temi, dopo questo lungo e drammatico periodo di chiusure e limitazioni che è al centro di molte riflessioni, uno degli artisti invitati, Hubert Kostner, ha organizzato per il vernissage di ieri una performance dallo spirito decisamente ludico. Ispirata al gioco «Cose, nomi, città», la performance ha visto gli artisti seduti in cerchio e impegnati in una versione artistica di quel gioco, con le voci «musei, artisti, colori, emozioni» da riempire a ogni lettera scelta. Gli esiti resteranno in ricordo di questo tempo vissuto in una ritrovata modalità di condivisione «post pandemica».
Quanto a scegliere la propria opera preferita, non è stato in realtà facile per gli autori, soprattutto per Robert Pan: «Ciò che è preferito da lui – spiega il gallerista – è in realtà l’essenza stessa del lavoro, il procedimento del suo farsi. Ecco perché ha deciso di mettere in mostra non un’opera, ma un’installazione con gli strumenti del suo mondo creativo». La domanda è stata rivolta a tutti perché «difficilmente ci si sofferma – aggiunge Sara Salute, autrice del testo di presentazione - su quel lavoro che è stato determinante nel proprio processo artistico, così come ammettere pubblicamente che quella determinata opera, inconsciamente o no, ha sempre avuto un posto speciale nel proprio cuore».
Un posto che a volte è nato da incidenti di percorso, come per l’opera di Sissa Micheli I Want to Be a Volcano, un lavoro fotografico che ritrae un cappello fumante che prese fuoco veramente, provocando la reazione del vicinato per paura che il palazzo andasse a fuoco. Il legame speciale a volte è con un’opera mai mostrata al pubblico, come Nascita di Venere tenuta segreta nella camera da letto di Margareth Dorigatti per oltre ventisei anni, oppure con quella che il pubblico ha meno notato, nonostante sia la preferita dell’artista, come nel caso del bronzo che ritrae un uomo addormentato di Lois Anvidalfarei: «La meno guardata, respinta, da me la più amata – scrive l’artista -. Il modello che posava mi disse che questa scultura non l’avrebbe voluta nessuno. Sono affascinato dalla bellezza della natura, dalla sua continua sorpresa, lontana dagli stereotipi creati anche da noi artisti».
RiAlzaMento, con le sue forme rosse tese verso l’alto nel prato dei Cappuccini è l’opera che per Eduard Habicher significa più di tutte «la speranza di una ripartenza crescente, l’ottimismo ingenerato dall’intravvedere la fine di questa crisi pandemica». Di Arnold Mario Dall’O un grande linoleum alla parete della galleria composto di tanti riquadri: «Quando tutto è detto – spiega l’artista-, le parole esaurite, il visto accatastato, l’eco svanisce, cosa rimane? Il passato è un collage di ricordi, elementi scenici mobili, continuamente ricomposti». «Piccolo e delicato» il lavoro di Aron Demetz «rappresentativo di questo periodo e che ha cambiato ulteriormente il mio modo di lavorare. Narra del tempo e della dissoluzione della scultura, portando alla luce gli inverni passati».
Gotthard Bonell non usa mezzi termini nel suo attacco alla situazione sociopolitica attuale che assomiglia a «una caduta agli inferi» di cui anche gli artisti si devono rendere responsabili. La collaborazione con le api di Josef Rainer e il «bozzolo» appeso al soffitto di Leander Schwazer aprono alla riflessione al mondo della natura sui cui sconvolgimenti riflette anche Peter Senoner. La sua scultura in bronzo «ZYR porta in sé fuoco e ghiaccio, è ruvida e sensibile, arcaica e artificiale. Riunisce mitologia naturale e tecnologia, ci appare come una regina delle nevi e un messaggero del sole. È un simbolo del nostro tempo, dei radicali sconvolgimenti sociali, tecnologici e climatici».