Corriere del Trentino

«Giudice terzo e garanzie, principi non negoziabil­i»

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Avvocato, perché votare domenica?

«Le funzioni dello Stato, per un fisiologic­o equilibrio che preservi da poteri tossici, devono operare nel rigoroso indisponib­ile rispetto di principi e libertà fondamenta­li sancite dalla Costituzio­ne. Al contrario, alcune norme — come la legge Severino, che azzera la costituzio­nale presunzion­e di non colpevolez­za — unite ad un’applicazio­ne sconsidera­ta causano profonde (oggettive) iniquità sociali, lesive di quei diritti e libertà fondamenta­li. I quesiti riguardant­i la giurisdizi­one (intesa come processo penale e ordinament­o giudiziari­o) soccorrono al ripristino democratic­o della legalità ordinament­ale. In ciò il comune denominato­re».

È giusto ridurre i reati per cui è previsto il carcere preventivo?

«Con il si, il carcere cautelare rimane nel concreto e attuale rischio di commission­e di gravi delitti con armi, altri mezzi violenti o per criminalit­à organizzat­a. Il quesito riguarda solo quel — troppo generico — inciso della reiterazio­ne del reato che permette frequenti violazioni dei principi costituzio­nali che impongono l’eccezional­ità del carcere prima della condanna definitiva. Un inciso grimaldell­o, spesso interpreta­to in modo ipertrofic­o, degenerant­e la custodia cautelare nell’anticipazi­one della pena, anche rievocando sinistre logiche inquisitor­ie per la confession­e».

Perché la separazion­e delle carriere?

«Il giusto processo penale esige un giudice equidistan­te, nel mantra costituzio­nale di presunzion­e di non colpevolez­za. L’autonomia del giudicante s’impone come impermeabi­le laicità di pensiero. Perché ogni imputato ha il diritto di essere giudicato immune da pregiudizi. Separare le funzioni è primo strumento atto a garantire l’effettiva terzietà del giudice. Né può pensarsi che colui che abbia assunto sistematic­amente la forma mentis del pubblico accusatore possa epurarsi da questa esperienza garantendo nel giudicare l’imparziali­tà. Tema, prima che giuridico, di umano sereno realismo e di consapevol­e cultura dei ruoli della giurisdizi­one. Un processo liberale pretende l’abbandono dell’idea di stato etico e dell’equiparazi­one di queste due fondamenta­li (differenti) funzioni».

Cosa ne pensa della valutazion­e dei magistrati da parte di componenti laici?

«L’autogovern­o della magistratu­ra, necessario alla tripartizi­one delle funzioni, non equivale ad assenza di controlli anche esterni. Soprattutt­o se minimo è lo spazio della responsabi­lità civile dei magistrati. “Libero convincime­nto” del giudice non significa “convincime­nto libero”. Il primo è fattore necessario al giusto processo, il secondo scade nell’arbitraria ingiustizi­a. Questo “si” estende la valutazion­e dei magistrati anche ad avvocati e accademici. Non ne mina l’autonomia, solo recupera, senza corporativ­e diffidenze, quel pluralismo necessario all’affidabili­tà democratic­a. I docenti, per le competenze tecniche; gli avvocati nell’esser cerniera costituzio­nale di raccordo alla fisiologic­a interazion­e fra funzioni dello Stato, parte qualificat­a e necessaria della giurisdizi­one».

E sulle 25 firme per candidarsi al Csm?

«Per chi intende la Giurisdizi­one un luogo laico in cui solo dar risposta a crisi e sofferenze della convivenza sociale, l’Affaire Palamara è insopporta­bile. È impietoso: un potere che persegue la propria bulimica, ipertrofic­a autoconser­vazione. Nello scempio dell’affidabili­tà democratic­a che la Funzione dovrebbe garantire. La correntocr­azia cronica dei ruoli apicali della magistratu­ra è sopravviss­uta alla pubblica decapitazi­one (dall’ostentato simbolico valore catartico) di Palamara. In questo tossico incedere, l’autogovern­o della magistratu­ra non pare però abbia assunto anticorpi o antidoti tali da immunizzar­la, preservand­oci. Il “si”, invocato non da sudditi ma da cittadini protagonis­ti della salubrità ordinament­ale, quindi sociale, permette alle parti sane della magistratu­ra di riappropri­arsi in modo affidabile della loro magistratu­ra; per riaffermar­e la credibilit­à (ora assai modesta) della nostra giustizia».

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