Sait, ultimatum per i 75 lavoratori: «È un ricatto»
«Movitrento o a casa»: sindacati furiosi
La mente riporta al 2017, l’anno in cui i licenziamenti furono ottanta. Ora una nuova pagina e una nuova protesta in vista. Chi non si adegua al percorso di esternalizzazione sarà licenziato. Era atteso e alla fine è arrivato: ieri i vertici del Consorzio Sait, in una lettera, hanno imposto l’autaut ai 75 dipendenti del magazzino di via Innsbruck, chiamati a scegliere tra la cessione del contratto a Movitrento e la perdita del posto di lavoro. «È un vero e proprio ricatto. Questa non è la cooperazione, è il suo volto peggiore», tuonano i sindacati. Il presidente Renato Dalpalù si dice pronto a discutere della clausola sociale per i lavoratori.
TRENTO Chi non si adegua sarà licenziato. Era atteso e alla fine è arrivato: ieri i vertici di Sait — in una lettera che apre formalmente la procedura di licenziamento — hanno imposto l’aut-aut ai 75 dipendenti del magazzino di via Innsbruck, chiamati a decidere, entro fine giugno, tra la cessione del contratto a Movitrento e la perdita del posto di lavoro. «È un vero e proprio ricatto. Questa non è la cooperazione, è il suo volto peggiore», denunciano i sindacati. Domani mattina scatterà una prima protesta dei lavoratori, che si sono sempre opposti all’esternalizzazione della loro attività. «Non vogliamo ridurre i costi, ma affrontare un problema organizzativo. I lavoratori manterranno gli stessi diritti», respinge le accuse il presidente del Consorzio delle cooperative di consumo trentine, Renato Dalpalù.
L’azienda aveva comunicato esattamente sei mesi fa il piano di esternalizzazione. Che consiste nell’affidamento del servizio del magazzino, tramite appalto, alla cooperativa Movitrento, che già occupa 150 persone all’interno della stessa struttura. I vertici hanno sempre detto che l’operazione non ha un tornaconto economico, ma risponde ad esigenze organizzative. Una su tutte: i dipendenti Sait e quelli Movitrento possono lavorare sotto lo stesso tetto, ma non possono essere impiegati negli stessi reparti o ambiti. Questo non assicura flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Anzi, nei picchi di attività, a detta dell’azienda, diventa estremamente limitante.
Ma i lavoratori, fin da subito, hanno alzato un muro di fronte al percorso di esternalizzazione. E così hanno fatto anche i sindacati, che non si sono mai seduti al tavolo con i dirigenti dell’azienda. A fine dicembre il primo sciopero. Poi nelle scorse settimane i lavoratori sono tornati a incrociare le braccia. I sindacati hanno sempre parlato di un peggioramento delle condizioni contrattuali dei lavoratori, dalla perdita della quota integrativa aziendale (che ammonta a 116 euro tra parte fissa e parte variabile) al venir meno del diritto alla mensa.
L’azienda ha garantito che verranno mantenuti gli stessi diritti, a partire dall’articolo 18 per i lavoratori assunti prima del 2015. «E in merito all’integrativo siamo pronti ad anticipare la parte fissa equivalente a due annualità — dice il presidente Dalpalù — Inoltre siamo disponibili, per chi ne facesse richiesta, a liquidare immediatamente il Tfr».
I sindacati però pongono un’altra questione. L’appalto avrà una durata di cinque anni. Poi cosa accadrà? Sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa il servizio potrebbe essere affidato anche ad un’azienda disposta a fare tagli sul personale? Insomma, il piano di Sait non garantirebbe una garanzia di continuità occupazionale. «Sait ne è consapevole e volutamente ha scelto questa strada, che non è altro che un appalto vero e proprio senza alcuna clausola sociale — scrivono i segretari generali dei sindacati di categoria Paola Bassetti (Filcams Cgil), Lamberto Avanzo (Fisascat Cisl) e Walter Largher (Uiltucs) — Avrebbero potuto tutelare veramente questi loro dipendenti scegliendo la cessione del ramo d’azienda o il distacco. Invece hanno scelto di svendere al miglior offerente i loro lavoratori, solo per tagliare i costi. Non c’è nessun altro scopo». Sait, però, non intende percorrere altre strade ed invita al confronto i sindacati. «La clausola sociale non c’è per legge, ma potremmo definirla insieme», dice Dalpalù.
Quattro anni fa, ricordiamo, Sait, che oggi presenta un indebitamento di 29 milioni di euro contro i 66 milioni del 2014, aveva attuato già una prima e pesante riorganizzazione del magazzino, licenziando 80 persone. Una ferita, forse, che non si è mai ricucita con i sindacati. Tra l’altro l’avvio della procedura di licenziamento comunicato ieri arriva a pochi giorni dall’assemblea di Federcoop, nel corso della quale il settore del consumo non è stato minimamente citato. I sindacati sono delusi anche dall’atteggiamento della Provincia, che «non ha mai mosso un dito». «Nei mesi scorsi abbiamo avuto alcuni incontri con i vertici di Sait e Federcoop, portando le istanze dei lavoratori: dall’azienda è arrivata un’apertura, seppur si è mostrata irremovibile sull’esternalizzazione — dice l’assessore provinciale Mario Tonina con delega alla cooperazione — Confidiamo in un dialogo per trovare la soluzione a questo problema».