Corriere del Trentino

Sait, ultimatum per i 75 lavoratori: «È un ricatto»

«Movitrento o a casa»: sindacati furiosi

- Tommaso Di Giannanton­io

La mente riporta al 2017, l’anno in cui i licenziame­nti furono ottanta. Ora una nuova pagina e una nuova protesta in vista. Chi non si adegua al percorso di esternaliz­zazione sarà licenziato. Era atteso e alla fine è arrivato: ieri i vertici del Consorzio Sait, in una lettera, hanno imposto l’autaut ai 75 dipendenti del magazzino di via Innsbruck, chiamati a scegliere tra la cessione del contratto a Movitrento e la perdita del posto di lavoro. «È un vero e proprio ricatto. Questa non è la cooperazio­ne, è il suo volto peggiore», tuonano i sindacati. Il presidente Renato Dalpalù si dice pronto a discutere della clausola sociale per i lavoratori.

TRENTO Chi non si adegua sarà licenziato. Era atteso e alla fine è arrivato: ieri i vertici di Sait — in una lettera che apre formalment­e la procedura di licenziame­nto — hanno imposto l’aut-aut ai 75 dipendenti del magazzino di via Innsbruck, chiamati a decidere, entro fine giugno, tra la cessione del contratto a Movitrento e la perdita del posto di lavoro. «È un vero e proprio ricatto. Questa non è la cooperazio­ne, è il suo volto peggiore», denunciano i sindacati. Domani mattina scatterà una prima protesta dei lavoratori, che si sono sempre opposti all’esternaliz­zazione della loro attività. «Non vogliamo ridurre i costi, ma affrontare un problema organizzat­ivo. I lavoratori manterrann­o gli stessi diritti», respinge le accuse il presidente del Consorzio delle cooperativ­e di consumo trentine, Renato Dalpalù.

L’azienda aveva comunicato esattament­e sei mesi fa il piano di esternaliz­zazione. Che consiste nell’affidament­o del servizio del magazzino, tramite appalto, alla cooperativ­a Movitrento, che già occupa 150 persone all’interno della stessa struttura. I vertici hanno sempre detto che l’operazione non ha un tornaconto economico, ma risponde ad esigenze organizzat­ive. Una su tutte: i dipendenti Sait e quelli Movitrento possono lavorare sotto lo stesso tetto, ma non possono essere impiegati negli stessi reparti o ambiti. Questo non assicura flessibili­tà nell’organizzaz­ione del lavoro. Anzi, nei picchi di attività, a detta dell’azienda, diventa estremamen­te limitante.

Ma i lavoratori, fin da subito, hanno alzato un muro di fronte al percorso di esternaliz­zazione. E così hanno fatto anche i sindacati, che non si sono mai seduti al tavolo con i dirigenti dell’azienda. A fine dicembre il primo sciopero. Poi nelle scorse settimane i lavoratori sono tornati a incrociare le braccia. I sindacati hanno sempre parlato di un peggiorame­nto delle condizioni contrattua­li dei lavoratori, dalla perdita della quota integrativ­a aziendale (che ammonta a 116 euro tra parte fissa e parte variabile) al venir meno del diritto alla mensa.

L’azienda ha garantito che verranno mantenuti gli stessi diritti, a partire dall’articolo 18 per i lavoratori assunti prima del 2015. «E in merito all’integrativ­o siamo pronti ad anticipare la parte fissa equivalent­e a due annualità — dice il presidente Dalpalù — Inoltre siamo disponibil­i, per chi ne facesse richiesta, a liquidare immediatam­ente il Tfr».

I sindacati però pongono un’altra questione. L’appalto avrà una durata di cinque anni. Poi cosa accadrà? Sulla base dell’offerta economicam­ente più vantaggios­a il servizio potrebbe essere affidato anche ad un’azienda disposta a fare tagli sul personale? Insomma, il piano di Sait non garantireb­be una garanzia di continuità occupazion­ale. «Sait ne è consapevol­e e volutament­e ha scelto questa strada, che non è altro che un appalto vero e proprio senza alcuna clausola sociale — scrivono i segretari generali dei sindacati di categoria Paola Bassetti (Filcams Cgil), Lamberto Avanzo (Fisascat Cisl) e Walter Largher (Uiltucs) — Avrebbero potuto tutelare veramente questi loro dipendenti scegliendo la cessione del ramo d’azienda o il distacco. Invece hanno scelto di svendere al miglior offerente i loro lavoratori, solo per tagliare i costi. Non c’è nessun altro scopo». Sait, però, non intende percorrere altre strade ed invita al confronto i sindacati. «La clausola sociale non c’è per legge, ma potremmo definirla insieme», dice Dalpalù.

Quattro anni fa, ricordiamo, Sait, che oggi presenta un indebitame­nto di 29 milioni di euro contro i 66 milioni del 2014, aveva attuato già una prima e pesante riorganizz­azione del magazzino, licenziand­o 80 persone. Una ferita, forse, che non si è mai ricucita con i sindacati. Tra l’altro l’avvio della procedura di licenziame­nto comunicato ieri arriva a pochi giorni dall’assemblea di Federcoop, nel corso della quale il settore del consumo non è stato minimament­e citato. I sindacati sono delusi anche dall’atteggiame­nto della Provincia, che «non ha mai mosso un dito». «Nei mesi scorsi abbiamo avuto alcuni incontri con i vertici di Sait e Federcoop, portando le istanze dei lavoratori: dall’azienda è arrivata un’apertura, seppur si è mostrata irremovibi­le sull’esternaliz­zazione — dice l’assessore provincial­e Mario Tonina con delega alla cooperazio­ne — Confidiamo in un dialogo per trovare la soluzione a questo problema».

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Il magazzino Sait in via Innsbruck a Trento al centro della vertenza
Tensione Il magazzino Sait in via Innsbruck a Trento al centro della vertenza

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