Corriere del Trentino

Accordo tra Cooperazio­ne e Provincia, corporativ­ismo del terzo millennio

- Di Albino Leonardi * * Dottore commercial­ista

Nel 1881 papa Leone XIII commission­ò a teologi e pensatori uno studio sul corporativ­ismo. La commission­e dichiarò che il corporativ­ismo è una forma di organizzaz­ione sociale con gruppi di interesse, ai quali viene attribuito un ruolo apparente di «Autorità pubblica», ma dove in realtà il compito di protagonis­ta è dello Stato.

Trascorsi centoquara­nt’anni, il Trentino vuol dire la sua sull’argomento con «L’Accordo di collaboraz­ione istituzion­ale tra Provincia Autonoma di Trento e Federazion­e Trentina della Cooperazio­ne», limpido esempio di corporativ­ismo del terzo millennio. Anche in questo caso, abbiamo infatti un «gruppo di interesse» (Federcoop), abbiamo un’autorità pubblica (non uno Stato vero e proprio, ma poco ci manca) e abbiamo l’apparente riconoscim­ento di un «ruolo» (in realtà una benevola e ben remunerata espropriaz­ione di responsabi­lità finalizzat­a al consenso).

Dubitiamo che le figure di Maurizio Fugatti e Roberto Simoni si possano confondere con quella di Leone XIII. Però entrambi avevano e hanno come obiettivo principale, se non unico, quello di capire, intercetta­re e indirizzar­e la morfogenes­i dello sviluppo economico.

In questo caso, il «gruppo di interesse» (Federcoop) ha un profilo dimensiona­lmente ampio, tale da contaminar­e ogni settore e segmento dell’economia trentina. Il punto è che Federcoop, risulta costituzio­nalmente priva di un tratto caratteris­tico. Parliamo della «distruzion­e creatrice», ossia del concetto economico con cui si giustifica­no le dinamiche del cambiament­o industrial­e (ad esempio, la transizion­e da un mercato competitiv­o a un mercato monopolist­ico e viceversa). La «distruzion­e creatrice» (in tedesco schöpferis­che zerstörung), anche nota come «burrasca di Schumpeter», è un pilastro delle scienze economiche, associato dagli anni Cinquanta all’economista austriaco Joseph Schumpeter, che l’ha derivato dal lavoro di Karl Marx, rendendola popolare come teoria dell’economia dell’innovazion­e e del ciclo economico.

Il movimento cooperativ­o ne è privo per sua stessa decisione, perché il suo obiettivo istituzion­ale non è distrugger­e per creare, ma coltivare e conservare le innovazion­i (quasi sempre di altri): le manca il coraggio, la forza e soprattutt­o l’interesse di sconfigger­e dinamiche e prassi del passato.

Fondamenta­lmente, le organizzaz­ioni e le comunità che fanno parte di Federcoop sono tutte uguali. Nascono attorno a degli ideali, spesso grazie all’azione di persone portatrici di carisma, ma non riescono a perpetrare lo scopo genetico dell’impresa in quanto incapaci ogni tanto «di morire e risorgere». La saggezza istituzion­ale dei dirigenti di questi movimenti non sta nell’avere il coraggio e la forza per «uccidere» norme, prassi e consuetudi­ni. Sta nel cristalliz­zare equilibri e assetti, anche se a discapito della famosa «base». Nelle cooperativ­e i costi per sorvegliar­e, ed eventualme­nte sostituire, gli amministra­tori inefficien­ti, sono più alti dei benefici che i singoli soci ritrarrebb­ero da una migliore amministra­zione, e si crea un’asimmetria informativ­a tra i soci ed amministra­tori che rende molto complesso il calcolo del «costo d’agenzia» (cioè la differenza del valore dell’azienda con o senza quel particolar­e management).

È noto, e non da oggi, che in Piazza Dante non abbiamo Leone XIII, per cui l’unico «Accordo di collaboraz­ione istituzion­ale» in grado di scuotere gli animi è quello che si presume possa risultare più efficiente per la rielezione. Però, non coinvolger­e con la stessa osmosi le (per fortuna e nonostante tutto) moltissime cellule, industrial­i, artigianal­i e commercial­i, di «distruzion­e creatrice», rimane una rinuncia che potrà costare molto. Al territorio ancora di più che al consenso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy