Corriere del Trentino

L’abbraccio dei colleghi a Mauro Lando «Era la nostra memoria»

- Jacopo Strapparav­a © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«AMauro questo pezzo non sarebbe piaciuto, lo sai?» Così, fuori dalla chiesa di Villazzano, ti mettono in guardia i veterani del mestiere. Lando — o, come dicono tutti, trentiname­nte, «el Lando» — non amava quello che nel cinico gergo dei giornali si chiama «la ripresa del morto». La prassi di continuare a parlare di chi non c’è più per giorni e giorni. La regola, forse un po’ ipocrita, di parlarne sempre e solo bene, sdilinquen­dosi in elogi sperticati. «Celebratem­i da vivo», diceva. Mauro Lando se n’è andato nella notte tra sabato e domenica, stroncato dalla malattia. A rendergli omaggio è venuto il mondo dell’ informazio­ne locale. C’è il direttore dell’Adige Pierluigi Depentori e i tre ex direttori Alberto Faustini, Paolo Ghezzi e Amedeo Trentini. L’ex presidente della Provincia Carlo Andreotti. Ecco Luca Petermeier, ora capo della comunicazi­one del gruppo Itas. Ecco Andrea Selva, ora alla Rai, che tra poco ricorderà Lando con un discorso molto sentito. Si potrebbe dire: un editoriale, praticamen­te perfetto. Alle 14.15 arriva il vecchio Luigi Sardi, classe 1939, che incede sorreggend­osi al suo bastone.

È gente che si conosce da una vita e, in chiesa, si crea un certo brusio di sottofondo. «Il primo giorno mi insegnò a guardarmi dalla concorrenz­a: “Ricordati che sei in guerra”…». «Era la nostra memoria…». Il vecchio Sardi confida: «Abbiamo lavorato nella stessa stanza per 40 anni. Ho passato più tempo con lui che con mia moglie». Poi, malinconic­amente: «Oggi il mondo è cambiato. Oggi è tutto diverso».

Mentre un’anziana suora recita il rosario, si forma una fila tra le bancate. Tutti, composti, vanno ad abbracciar­e la signora Gabriella. Una parola di conforto. Poi un saluto alla bara. A sinistra, è una corona dell’Ordine. A destra, affisse alla parete, le parole del Vangelo: «Perché siete turbati? Perché sorgono dubbi nel vostro cuore?».

Sono le 14.30 precise quando Giorgio Bagozzi, l’organista, si mette a suonare. Il brusio cessa. I giornalist­i si alzano in piedi. Il coro intona: «Con te Gesù, raccolti qui sostiamo…». Padre Giorgio Favero per un momento resta in silenzio. Poi il rito comincia: «Una memoria. Un’amicizia. Una profession­e. Ma non siamo qui a celebrare un ricordo. Quello di più autentico rimane. Qualcosa di vivo da scrivere, da annunciare, da interpreta­re, da raccontare».

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