«Io esploratrice scout alla ricerca del sacro» nd
Presto nelle sale dopo una serie di anteprime il film che racconta l’incontro con una dimensione soprannaturale. Dalla «Sindone» a Torino ai templi in Cambogia La trentina Irene Dorigotti firma «Across», docu sulla spiritualità: «Ho rimesso la divisa, qua
Nel suo sangue scorre il senso del viaggio e della scoperta. Suo nonno, Valerio von Dorigotti ha fondato la primissima agenzia di viaggi italiana a Trento. E al turismo si è dedicato anche il padre. Mentre lei la sua propensione alla scoperta di altri mondi l’ha convogliata nelle sue ricerche da «antropologa scout» come la definisce il materiale promozionale che accompagna il suo documentario, Across, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori, che presto uscirà al cinema dopo una serie di anteprime sold out, tra cui quelle di Rovereto e Trento durante il Trento Film Festival. Lei, la regista, è Irene Dorigotti, trentina che si divide tra Isera, paesino sopra Rovereto, e Torino, da cui il viaggio di Across alla scoperta del sacro parte per arrivare in Cambogia».
Dorigotti, il viaggio comincia dalle sue origini.
«Mi alterno tra Isera e Torino. La mia famiglia è nel turismo da sempre e in questo borgo da 300 anni. Io ho studiato Antropologia a Bologna e poi ho f at to l’Erasmus in Svezia. in un paesaggio simile al Trentino, con strategie di sopravvivenza simili a questa terra. Continuo a fare avanti e indietro con Torino, anche se qui, per scrivere, è più comodo».
Il viaggio è nel suo Dna. Qual è il primo ricordo?
«Sono cresciuta viaggiando. A otto anni ero in Thailandia, a undici in Giamaica, a quattordici in Madagascar e ho fatto un sacco di viaggi per accompagnare i gruppi quando mio papà mi chiedeva una mano».
Nel documentario la vediamo vestita da scout. Che cos’ha r a p p re s e n t a to quell’esperienza?
«Mi ha dato un’educazione universale, il rispetto degli altri, la possibilità di arrangiare, stare in armonia, mettersi alla prova, fidarsi costantemente del gruppo e mettersi al servizio del prossimo. Sono stata scout Agesci a Rovereto e anche mia mamma era scout. Mi ricordo le passeggiate, le missioni di squadriglia dove partivamo per aiutare gli altri».
E com’è stato rimettere la divisa da scout?
«È stato un processo graduale. L’idea era tornare un po’ come ero una volta, essere trattata come scout, togliere l’ìaspetto individuale per trasformarmi in un soggetto collettivo. All’inizio sembrava solo il modo migliore per poter entrare all’esposizione della Sindone a Torino. Il progetto nasce su impulso di Daniele Segre, regista ebreo, morto a febbraio, che aveva chiesto a un gruppo di giovani cineasti di interessarsi del sacro. Solo il mio progetto è andato avanti. Ma rimettere la divisa ha riaperto scatola dei ricordi e risollevato i miei dubbi sulla spiritualità. Non si può rimanere immuni ai propri ricordi. Filmando, mi sono resa conto che le domande che facevo agli altri erano rivolte in primis a me. Sono stata fortunata che durante la lavorazione di questo film, durata 7 anni, hanno esposto la Sindone e mi hanno dato un’occasione unica. A quel punto avevo vinto il premio Solinas per i documentari e ho potuto filmare l’esperienza».
Qual è il valore delle domande sul sacro?
«La ricerca sul sacro non finisce mai. È sempre utile, anche se il film è finito. In un certo senso è un invito a farsi certe domane. Non arriva a una soluzione, perché sarebbe molto pretenzioso avere risposte sul sacro oggi. Ma questo è un film che penso possa lasciare qualcosa negli spettatori. Perché è un documentario particolare, con materiale di montaggio alternato a riprese di me in viaggio. E poi non è che ci siano tanti film che parlino del sacro oggi, perché è una cosa che spaventa. Pensarsi al di fuori delle cose materiali è molto difficile, piu facile è pensare a come posso guadagnare».
Dopo questo film?
«A Isera sto scrivendo tre progetti, tutti di antropologia. Vedremo quale diventerà il mio nuovo film».