«Mamma, eccomi sono qui per te»
Finalmente quell’abbraccio atteso da sedici anni Lo zio Gianni: «Maria pensava di non vederlo più»
«Ciao mamma, ti voglio bene, sono qua per te». Sono le prime parole tra le lacrime di Chico Forti alla madre Maria Loner, che suggellano un abbraccio atteso da 16 anni, nell’appartamento al sesto piano del palazzo al civico 12 di piazza General Cantore. Nella casa natale di Forti. «Ti voglio bene anch’io Chico, finalmente ti abbraccio. Ti ho preparato i canederli», gli ha risposta in tono amorevole l’anziana madre, ricordando che il merito del suo trasferimento in Italia è solo dello zio. «Tu hai fatto tanto, hai resistito tutti questi anni e sei qui con noi», ha replicato Chico. Un incontro «emozionantissimo» l o descrive lo zio Gianni Forti, «che ha rinfrancato molto mio nipote». Un caffè e una fetta di torta. «Ma soprattutto baci e abbracci».
Sono passate da pochi minuti le 15, quando gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Verona-Montorio — dove l’ex imprenditore e campione di windsurf è recluso da domenica — fanno entrare dal retro del palazzo dove vive la madre con il figlio maggiore Stefano, eludendo le persone e i giornalisti che lo attendevano sul lato della piazza fin dalla mattina. Prima di salire, l’abbraccio nell’atrio allo zio 81enne Gianni che lo aspettava da mezzogiorno sotto casa, un’ora prima del presunto arrivo alle 13, slittato di due ore. «Mi fa ancora male la schiena per come mi ha stritolato», dirà ridendo, una volta sceso dalla casa per lasciare madre e figlio da soli. Momenti intensi con Maria che attendeva di rivedere suo figlio dal 2008, quando era andata a fargli visita nel carcere di Miami per il suo 80esimo compleanno. Oggi, Maria ne ha 96 e la sua salute non le permette non solo di prendere un aereo per volare Oltreoceano ma neppure di fare molte altre cose che svolgeva fino a poco tempo fa. Per questo è stato richiesto al Tribunale di Sorveglianza di Venezia l’incontro urgente a carattere umanitario. «L’ultima volta che si sono visti, Maria mi ha detto che probabilmente non si sarebbero più rivisti», dice emozionato Gianni.
Dopo 27 anni dalla sua assenza da Trento, il filmmaker ha rivisto la sua città dal furgone della polizia penitenziaria, il suo quartiere, Cristo Re, che l’ha accolto calorosamente quando è uscito dal cellulare, indossando una polo maniche lunghe Lacoste azzurra, jeans chiari, scarpe da ginnastica e un cappellino grigio. Ha rivisto soprattutto la sua casa dove è nato e cresciuto, prima di volare per gli Stati Uniti negli anni ‘90. Un permesso speciale che è durato quattro ore, fino alle 18.52, quando ha fatto rientro nel carcere scaligero. «È andata bene», ha risposto ai cronisti che lo attendevano sotto casa salutando con il sorriso e un volto più disteso dell’arrivo. D u r a n te l’incontro con la mamma erano presenti anche Wilma, la compagna di Gianni che lo ha affiancato nella sua causa per fari riconoscere la sua innocenza, e il fratello 70enne di Chico, Stefano che vive con la madre. Oltre alla scorta che lo ha accompagnato. «Anche loro erano a propio agio», spiega lo zio. Durante la visita «Chico ha rivisto la sua camera di quando era ragazzo — prosegue Gianni — è stato lui a indicare dove si trovasse, come fosse il giorno prima».
Poi la riflessione sulla situazione, «che ha cambiato tutto nell’arco di 24 ore». Ma non è ancora tempo di gridare vittoria dice l’ottantenne: «Per la nostra famiglia oggi è una vittoria a metà, siamo contenti che finalmente in qualche modo l’abbiamo tirato fuori da quel carcere dov’era condannato a morirci dentro», spiega. «Ma dall’altra ci dispiace non esserci riusciti prima, è i l mi o r a mmari c o » . L’aveva promesso al fratello Aldo di tirare fuori di prigione il figlio. «Quando è stato male per questa vicenda e poi è morto (di crepacuore quando Chico è stato condannato all’ergastolo, ndr), gli avevo giurato che l’avrei tirato fuori. Per questo sono felice di dove siamo arrivati ora. E poi l’ho fatto per i suoi figli». Quando è stato arrestato, Francesco Luce, Jenna Bleu e Savanna Sky avevano rispettivamente 11 mesi, 2 anni e 4 anni. «Anche loro erano condannati a sapere che il padre sarebbe morto in carcere — prosegue Gianni — anche per loro è un sollievo: quando verranno a trovare la nonna, potranno fare visita anche al padre», sorride. «E poi l’ho fatto per una questione di giustizia. Dalla documentazione dell’istruttoria e del proce s s o c he a bbi a mo studiato per anni è chiaramente emerso che il processo è stato pilotato e lui condannato sul pregiudizio: questo mi ha portato a non mollare mai, come tutti li suoi amici storici». Ma non è finita la b a t t a g l i a . « F i no a q u a ndo avremo fiato e vita ci batteremo per la sua riabilitazione».
Infine, passa alle polemiche. L’ultima, dopo il via libera all’incontro considerato un privilegio da parte del sindacato della polizia penitenziaria Spp, quella sui costi sostenuti dallo Stato per il volo di rientro dagli Stati Uniti. «Dicono 160mila euro — dichiara lo zio — quello che anche l’ultimo dei Comuni del Trentino spende per mettere su una sagra di paese».