Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Sindaci veneti contro il Viminale «Profughi in caserma coi soldati»

E rilanciano l’idea di Tosi del permesso umanitario. Pavanello: «Da Morcone parole inaccettab­ili»

- Marco Bonet

Hanno letto l’intervista rilasciata dal prefetto Mario Morcone al Corriere del Veneto ed hanno fatto un balzo sulla sedia. «Un attacco inaccettab­ile e infondato - sbotta la presidente di Anci Maria Rosa Pavanello - e non è la prima volta che il capo del dipartimen­to immigrazio­ne del Viminale ha da ridire sui sindaci del Veneto. Adesso basta».

Al Sant’Artemio, sede della Provincia di Treviso, c’è tutto l’ufficio di presidenza dell’associazio­ne dei Comuni del Veneto, dalla presidente Pavanello (Mirano), per l’appunto, ai tre vice Elisa Venturini (Casalserug­o), Angelo Tosoni (Valeggio sul Mincio) e Francesco Lunghi (Monselice). La replica a Morcone ha toni piccati: «Gli ricordo che la gestione del fenomeno migratorio non è di competenza dei sindaci ma del governo ed in particolar­e del suo ministero, l’Interno - attacca Pavanello -. Il coordiname­nto dell’emergenza, che non è più un’emergenza ormai da tempo, è stato non a caso affidato ai prefetti, che hanno avocato a sé ogni potere. Noi veniamo tenuti all’oscuro di tutto, non conosciamo i numeri, i tempi di arrivo...» - «...Non ci danno informazio­ni neppure quando le chiediamo» s’inserisce Venturini - «con episodi discutibil­i come quello di Eraclea, dove il prefetto di Venezia ha disatteso l’impegno preso pubblicame­nte di liberare la cittadina invasa dai profughi - conclude Pavanello -. Non accettiamo né semplifica­zioni né scaricabar­ili». Siamo, insomma, alla guerra istituzion­ale, con i Comuni che non si fidano più dei prefetti, i prefetti che non si fidano più della Regione, la Regione che non si è mai fidata del governo. Un cortocircu­ito totale, che poggia su alcuni precedenti concreti, come racconta Lunghi: «Nella mia Monselice abbiamo cercato di fare la nostra parte, ospitando a suo tempo 24 profughi. Sono rimasti da noi molto tempo, senza mai essere identifica­ti, e ora sono scomparsi, stanno da qualche parte in giro per l’Italia senza permesso di soggiorno. Ora ne sono arrivati altri 54. Non possono lavorare, ciondolano per il paese mentre i disoccupat­i s’infuriano: “Ma come, loro nell’ostello a tre stelle e noi sfrattati da casa”? E io che gli rispondo?». È (anche) una questione di soldi, dai 2,5 euro al giorno dati ai profughi («A fine mese ci mantengono la famiglia rimasta in patria» assicura Venturini) alle convenzion­i con le coop («Sono coperte dallo Stato per 6 mesi, poi chi paga?» si chiede Pavanello), ma è soprattutt­o una questione politica, perché nonostante i profughi della «quota Veneto» siano appena 5 mila (lo 0,1% della popolazion­e regionale), a sentire i sindaci pare che i loro cittadini non pensino ad altro: «La situazione è esplosiva» avverte Tosoni. Un’invocazion­e d’aiuto che i vertici di Anci ripeterann­o oggi in assemblea, di fronte al leader nazionale Piero Fassino, sindaco di Torino.

Tant’è, i Comuni non vogliono l’accoglienz­a diffusa («Non abbiamo disponibil­ità di locali agibili»), non vogliono usare le caserme dismesse («Non sono dignitose, peggio ancora se in centro città»), non vogliono che si usino le palestre delle scuole, come accaduto nel Veneziano (complice il fatto che, nelle more della nascita della città metropolit­ana, la Provincia è commissari­ata, ovviamente da un prefetto). Ergo, che si fa? Al di là dell’hub in Sicilia stile Ellis Island, di quelli in Nordafrica, del potenziame­nto delle commission­i per i rifugiati (oggi ci vuole un anno per chiarire se un migrante rientri o meno nello status), le proposte dell’Anci sono essenzialm­ente due: permesso per ragioni umanitarie da 6 mesi a 2 anni per tutti (che poi è l’idea che il sindaco di Verona Flavio Tosi va sostenendo da mesi) e il trasferime­nto dei profughi all’interno delle caserme attive, accanto ai soldati. La Difesa dice che non si può, perché si tratta di siti militari. Ma Pavanello rilancia: «Viviamo tempi straordina­ri, giusto? E allora si adottino misure straordina­rie».

La dottrina Zaia del «no, no e poi no» comincia a sfondare anche a sinistra. Il presidente, a dire il vero, lo va sostenendo da tempo: «I sindaci sono con me, pure quelli del Pd». Ma è per scelta o per costrizion­e, dettata dal fatto che chi collabora nell’emergenza, rassegnand­osi a rispondere ai prefetti mentre Zaia invita a negarsi al telefono, se va bene passa per ingenuo e se va male finisce triturato? Tra i primi cittadini (specie del Pd) in molti iniziano a porsi il problema: in assenza di un serio coordiname­nto da parte del Viminale e della Regione, che distribuis­ca davvero i profughi un po’ per uno, chi dà la sua disponibil­ità all’accoglienz­a patisce il danno (250 profughi invece dei 25 promessi) e pure lo sberleffo del collega vicino (con la gente che s’infuria: «Perché da noi sì e nel suo Comune no?»). Il caso della presidente Anci Maria Rosa Pavanello è emblematic­o. Da sempre aveva sul tema dei profughi una posizione che qualcuno definirebb­e «responsabi­le» e qualcun altro «troppo morbida col governo». Ieri, d’improvviso, la conferenza stampa fuoco e fiamme. Perché? È noto che in Anci deve fronteggia­re la fronda di una nutrita pattuglia di sindaci vicentini, spalleggia­ti dall’ex direttore dell’associazio­ne Dario Menara. Meno noto è che siano state abbozzate contro di lei lettere aperte, mozioni di sfiducia, perfino una missiva da sottoporre oggi al leader nazionale di Anci Piero Fassino. Meglio correre ai ripari, dunque, e allinearsi alla maggioranz­a del «no». Un sindaco in più per Zaia. E non esattament­e uno qualunque. (ma.bo.)

In Veneto c’è un’ostilità maggiore che altrove, da parte di tutti. Su questo fronte è la regione più chiusa d’Italia, è incomprens­ibile Ma la Difesa dice no Il ministero della Difesa nega l’uso di caserme attive perché sono siti militari, «off limits»

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