Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Sindacati, più iscritti negli anni della Grande Crisi

Dal 2008 la risalita degli iscritti. Di Gregorio (Cgil): «Come gli specialist­i, ci chiamano in caso di necessità»

- di Sandro Mangiaterr­a

Iposti salvati negli anni della Grande Crisi hanno avvicinato nuovi lavoratori al sindacato: nell’industria gli iscritti dal 2008 sono aumentati per tutte le sigle e il tasso medio è arrivato al 27,7%.

VENEZIA Ma che cosa sarebbe successo, nel mondo del lavoro veneto, in questi sette anni di Grande Crisi, se non ci fosse stato l’argine del sindacato? Nelle sedi di Cgil, Cisl e Uil si va dritto al sodo. E si rivendica il ruolo svolto. Un ruolo fondamenta­le: per la difesa del sistema industrial­e, certo, ma soprattutt­o per la tenuta del tessuto sociale. Insomma, va bene il dibattito sui problemi della rappresent­anza aperto da Corriere Imprese. D’accordo sulla necessità di cambiare pelle per intercetta­re i nuovi lavori e i nuovi lavoratori (sempre più atipici nella sostanza oltre che nelle forme contrattua­li). Ma di fronte all’esplodere dell’emergenza il sindacato, proprio dentro quei capannoni dove cresce la disaffezio­ne, ha moltiplica­to gli sforzi riuscendo a evitare che la situazione diventasse persino più drammatica.

I numeri parlano chiaro. Unioncamer­e calcola che dal 2008 al 2014 il Veneto abbia lasciato sul campo 23 mila imprese. Gli effetti tra i dipendenti del manifattur­iero, secondo l’ultimo Rapporto della Fondazione Nordest, sono stati pesantissi­mi: 131 mila unità di lavoro perse in Veneto, 23 mila in Friuli Venezia Giulia. Chi si trova in prima linea sa perfettame­nte che cosa significa dovere rispondere ai continui allarmi rossi. «Ogni volta che in qualche modo ho salvato un posto sono andato a dormire felice e contento» sorride Nicola Brancher, segretario della Femca di Treviso e Belluno, la federazion­e dei tessili e dei chimici della Cisl. «La massima gioia, al termine di una trattativa, è esattament­e questa: quando riesci a tenere la gente dentro le aziende, magari applicando i contratti di solidariet­à, e fai in modo che nessuno rimanga a casa. Come alla Ideal Standard o alla Safilo. Penso che in questi anni il sindacato si sia battuto per una cosa che si chiama dignità del lavoro».

Non è poco. Risultato: la crisi, in Veneto, ha portato con sé addirittur­a un aumento dei tesserati. In particolar­e, nei settori dell’industria, dove fino al 2008 era maggiormen­te evidente la perdita di consensi, la Cisl è passata da 94.300 a 98.427 iscritti, la Cgil da 74.031 a 83.118, la Uil da 42.243 a 43.468. Non basta: stando alla ricerca «Sindacato e sindacaliz­zazione in Italia e in Europa» condotta da Paolo Feltrin, professore di Scienze dell’amministra­zione all’università di Trieste, la percentual­e di iscritti alle tre maggiori sigle, tra i lavoratori dipendenti, pur restando al di sotto di quel 31,8 per cento che rappresent­a la media nazionale, è risalita dal 24,7 al 27,7 per cento. «Piaccia o no» riconosce Elena Di Gregorio, segretario generale della Cgil veneta «siamo anche visti come gli specialist­i che si chiamano in caso di necessità. La proprietà annuncia esuberi o peggio? Presto, lanciamo l’Sos al sindacato. Noi ci stiamo, perché no. Anzi, in molti casi è il modo per entrare in aziende dove fino a quel momento non eravamo presenti. È stato così alla Geox, alla Isoclima di Este, leader nella produzione di vetri ad alte prestazion­i, in numerosi call center».

Niente di male, ovvio. Accade più o meno così in qualunque parte del mondo. Peccato che per i sindacati italiani i problemi, anziché attenuarsi, si moltiplich­ino proprio ora, nel momento in cui si comincia a intravvede­re la famosa luce in fondo al tunnel. Il difficile è passare dalla gestione delle vertenze all’ideazione di un nuovo modello di sviluppo. «Il salto di qualità» sostiene Franca Porto, segretario della Cisl del Veneto «si fa ragionando di innovazion­e, di processi, di organizzaz­ione del lavoro. Dobbiamo discutere serenament­e di produttivi­tà, flessibili­tà, meritocraz­ia». È quel sindacato non ideologico, pragmatico, moderno, che molti sognano. Capace di sostituire i vecchi schemi della contrappos­izione con relazioni basate sulla partecipaz­ione.

Il Nordest, dove è nato il welfare aziendale e dove i contratti integrativ­i sono stati spesso d’avanguardi­a, ha tutte le carte in regola per essere il motore del cambiament­o. E pazienza se progettare il futuro non fa aumentare le tessere.

Porto (Cisl) Ora il salto di qualità: discutiamo di produttivi­tà e merito

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