Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Maschere, asce e gioielli del mondo che non c’era
L’arte precolombiana: dagli indigeni Taino ai mesoamericani
LA COLLEZIONE LIGABUE In mostra a Firenze 230 preziosi oggetti raccolti dall’antropologo e archeologo veneziano Giancarlo Ligabue. Un «omaggio» del figlio Inti
Venezia, Firenze e Il mondo che non c’era. L’arte precolombiana della Fondazione veneziana Ligabue si unisce alla fiorentina collezione medicea. In esposizione al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, da sabato al 6 marzo 2016, 230 preziosi oggetti per fare un viaggio nel tempo e riscoprire il «Mundus Novus». Maschere in giada e oro, piumaggi, asce sacrificali, ornamenti funebri, propulsori in oro, ceramiche e un ritratto di Montezuma. Gli oggetti in esposizione sono organizzati secondo aree geografiche e appartenenze etniche: la mostra include reperti che spaziano dal Messico fino alla Patagonia, si va dai Maya agli Aztechi fino ai Moché, ai Chavin, agli Inca. A pochi mesi dalla scomparsa del veneziano Giancarlo Ligabue - archeologo, antropologo, illustre personalità nel campo della cultura - che Jacques Balzy, curatore della mostra con André Delpuech, definisce «un grand’uomo, degno signore della tradizione italiana», la mostra vuole anche essere un omaggio del figlio Inti Ligabue al padre. Che, come ricorda Adriano Favaro, curatore del catalogo, già trent’anni fa organizzò a Venezia, a Palazzo Grassi, la mostra I
tesori della terra di Atahualpa.
«Ci vollero almeno 30 anni dal 1492, anno in cui Colombo scoprì l’America - spiega Blazy - perché si cominciasse a capire che le Indie erano in realtà un mondo nuovo». La mostra ci regala reperti appartenenti a etnie per lo più sconosciute, come i Taïno, i primi amerindi che Colombo incontrò sbarcando nelle Americhe, destinati ad estinguersi pochi anni dopo. I rarissimi reperti sono arrivati fino a noi grazie ai Medici che furono tra i beneficiari dei primi suppellettili importati dall’America.
E se i marinai di quelle spedizioni portarono nel vecchio mondo piante, cibi, semi, animali, lo stesso Colombo portò in Europa una decina di amerindi. Per testimoniare non solo la riuscita dell’impresa ma il paralizzante stupore nell’incontrare degli indigeni lontanissimi dai propri parametri culturali. Per dar prova al popolo della loro esistenza, anche Ferdinando I ne fece sbarcare 16 a Firenze, provenienti dal Brasile.
Era l’inizio di un confronto, purtroppo non pacifico, tra due mondi che fino a quel momento erano vissuti l’uno ignaro dell’altro.
Bartolomé de Las Casas ci racconta delle terribili pratiche sacrificali dei sanguinari popoli mesoamericani, come testimoniano le asce sacrificali, gli strumenti per l’autosacrificio rituale, le statuine che raffigurano sciamani in trance per effetto dei potenti allucinogeni e i tanti altri oggetti della collezione Ligabue, fino ad ora mai esposti in pubblico.
Tra questi spiccano senz’altro una grande venere modellata in ceramica cava a ingobbio crema e rosso appartenente ai Chupicuaro; un’urna funeraria, effigie del dio della pioggia, del fulmine e del tuono della cultura zapoteca; i rarissimi propulsori atzechi in legno e oro; un vaso maya che raffigura una divinità dell’inframondo a testa di giaguaro; l’ascia cerimoniale usata per i sacrifici dalla cultura tehuelche e la maschera funebre peruviana in rame ricoperta in lamina d’oro dai caratteristici tratti mitici: gli occhi alati e i dischi auricolari simboleggianti la Luna, madre dell’umidità notturna e il Sole, padre delle luce.