Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«La Ballata» di Pratt e la nascita di Corto Maltese
Luglio 1967. Sulle pagine del primo numero di Sgt Kirk, edito da Florenzo Ivaldi, si leggono le prime tavole di Una ballata del mare salato: è il debutto di Corto Maltese, personaggio che sarebbe diventato l’icona del fumetto italiano nel mondo. Per festeggiare il primo mezzo secolo del «Gentiluomo di fortuna», nel museo della Storia di palazzo Pepoli a Bologna, ha aperto «Hugo Pratt e Corto Maltese, 50 anni di viaggi nel mito», una delle mostre più complete mai realizzate sul disegnatore veneziano (www.mostrapratt.it). Grande amico del papà di Corto è stato Ivo Pavone, classe ‘29: con Pratt ha condiviso gli anni delle guerra a Venezia, l’avventura in Argentina e la professione di fumettista.
Perché la «Ballata» è stata così rivoluzionaria per il fumetto?
«L’innovazione fondamentale è stata quella di affrontare un fumetto come un romanzo. Hugo, prima di essere un disegnatore, era un narratore eccezionale: tutto partiva dalla scrittura, il disegno era una conseguenza».
Pratt aveva capito che Corto sarebbe potuto diventare un mito?
«La Ballata era nata come un racconto a sé stante e Corto Maltese doveva essere era un personaggio di un unico racconto. Fu il successo che ebbe in Francia che lo lanciò come personaggio seriale».
Come è nato Corto Maltese?
«Il personaggio di Corto, Hugo lo stava inseguendo da anni. Già in Anna delle Giungla c’è un marinaio di nome Luca Zane... ma quel cappello l’ha sempre sognato, ho ancora una foto del ‘52 in cui Hugo indossa proprio quel berretto».
È giusto che Corto Maltese continui a vivere nuove avventure a fumetti?
«Non credo. Corto Maltese era Hugo Pratt. Era il suo mondo, la sua ironia, i suoi sogni e i suoi viaggi».
Si ricorda il primo incontro con Pratt?
«Come potrei dimenticarlo? Dopo l’8 settembre Pratt era tornato a Venezia e, sapendo che avevo la collezione di fumetti Cino e Franco, me ne ha chiesto in prestito uno. Siccome non me lo restituiva, sono andato a casa sua e mi sono messo a piangere: Hugo si è fatto una risata e siamo diventati amici per la pelle». Hugo Pratt era fascista? «Fascista Hugo? Macché. Pensi che alla Liberazione di Venezia è andato a piedi fino a Mestre ed è entrato a Venezia sfilando con addosso un kilt scozzese tra le file dell’esercito alleato! La famiglia, sì, era fascistissima, il nonno aveva fondato i Fasci di Venezia, il papà è morto in un campo di prigionia in Etiopia nel ‘42 dove Hugo si è innamorato degli inglesi. Per questo amore ha aggiunto una “t” al cognome: il vero nome era Ugo Prat, cognome provenzale, poi in Argentina ha aggiunto la seconda “t” del cognome immaginando origini anglosassoni».
Però si era arruolato nel battaglione Lupo della X Mas...
«Per Hugo esisteva solo l’avventura. In casa, durante la guerra, si sentiva inutile e si annoiava: un giorno è uscito di casa è si è arruolato. È durato due giorni: la nonna è andato a riprenderlo per un orecchio e lo ha riportato a casa».
Che ricordi ha dei «vostri» anni argentini?
«Sono stati anni incredibili. Siamo stati lì dal ‘51 al ‘62: inchiostravo le sue tavole, disegnavo le mie, andavamo a feste, vivevamo avventure ogni giorno».
Che cosa le ha insegnato Pratt?
«Hugo mi ha insegnato tutto: a lavorare, a comportarmi con gli altri e con le ragazze. È stata l’amicizia della vita, l’amicizia vera. L’ho seguito ad occhi chiusi per tutta la giovinezza, poi voleva che rimanessi il suo braccio destro, ma ho scelto la strada della responsabilità, lui quella della libertà». L’amicizia, poi, è finita? «No quella no. Ci siamo frequentati fino alla fine, ma l’intensità degli anni argentini era venuta meno. Ancor oggi quando ci incontriamo con lo scrittore Alberto Ongaro, volenti o nolenti ci ritroviamo a parlare di lui: alla fine facciamo parte di Hugo Pratt».
La testimonianza Hugo non era fascista, amava invece gli inglesi Festeggiò la Liberazione indossando un kilt