Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L'OBIETTIVO IDEALE
Se ce l’avessero fatta, sarebbe stato il colpo globale dell’anno. E, per l’Italia, un tragico risveglio a una nuova consapevolezza. Per fortuna – e per la capacità d’inchiesta e prevenzione degli organismi preposti alla nostra sicurezza – il progetto di un attentato al Ponte di Rialto, con l’obiettivo di produrre morte, è rimasto, per i suoi perpetratori, un sogno interrotto di paradiso; e, per noi, un incubo che non ci toccherà vivere. Venezia era un obiettivo ideale. Meta turistica mondiale, e capitale culturale d’occidente, rappresenta infatti la globalità, come New York, Londra e Parigi. L’impatto, colpendo turisti di tutto il mondo nella destinazionemito sogno di tutti, sarebbe stato clamoroso: più alto, certamente, che a Berlino o a Nizza, ma anche nei recenti attentati di Londra o Bruxelles. Ma Venezia è anche il passato, la storia, la gloria dell’Occidente: dunque un simbolo, giustamente tenuto d’occhio con preoccupazione e cura. Quello che non sanno e non capirebbero tuttavia questi ignoranti del terrore, assetati di sangue e privi di cultura, è che Venezia è anche l’Oriente, la porta che apre ad esso, una parte della sua anima.
Proust ne descrive «i palazzi dissimulati alla maniera di sultani». Architettura e arte ci danno l’impressione di essere nella prima propaggine orientale d’occidente. Impressione giustificata dalla presenza nella storia della città di ebrei provenienti dall’impero ottomano, armeni, fino ai mercanti (ma anche diplomatici o marinai) bosniaci, persiani e turchi. Per i quali ultimi fu riadattato, non lontano da Rialto, sul Canal Grande, il Fondaco (da funduq, che è ancor oggi la parola araba per albergo) dei Turchi, inaugurato nel 1621 e attivo fino al 1838, che ospitava magazzini e la prima moschea della città – e oggi è la sede del Civico Museo di storia naturale. Venezia senza il Levante è in un certo senso inspiegabile. Nei suoi simboli: inclusi i mori di Venezia che segnano le ore suonando le campane di una chiesa che ospita le spoglie di San Marco, la cui salma fu trafugata fortunosamente da Alessandria d’Egitto. Nei commerci: Venezia ottenne per la prima volta un privilegio di esportazione delle merci levantine, dalle sete all’incenso, da parte dell’impero bizantino, fin dall’840, con il Pactum Lotharii; ma avrebbe in seguito disseminato i suoi plenipotenziari, i suoi consoli e i suoi baili, un po’ ovunque nelle terre d’islam, da Damasco al Cairo alla Persia. Persino l’arte orientalista nasce qui: con Gentile Bellini che diverrà pittore di corte di Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, e fino alla grande collezione di quadri turcheschi usciti dalla bottega dei Guardi. Qui ci sarà la prima stamperia in arabo a caratteri mobili, e qui nel 1537 sarebbe stato stampato anche il Corano. Ma tutto questo i nostri aspiranti terroristi non lo sanno. La sola continuità con il passato, in loro, è il legame con i Balcani: di cui questa filiera terroristica, kosovara ma non solo, mostra la pericolosità e al contempo la centralità, nonostante la presenza islamica in Italia, e più visibilmente ancora nelle moschee, sia soprattutto araba. Da Ismar Mesinovic, morto in Siria, partito con il figlio di tre anni da Longarone con l’amico Munifer Karameleski, macedone, partito anche lui con moglie e figlie, fino a Valbona Berisha, albanese, partita con un figlio di cinque anni, e a Maria Giulia Sergio, partita per Daesh con il nome di Fatima e un marito albanese, molti degli aspiranti combattenti finora scoperti in Italia appartengono a questa filiera, che ha i suoi imam itineranti e i suoi predicatori di odio online.
Si conferma tuttavia la provincialità e l’isolamento del terrorismo nostrano. Fenomeno non di grande città, non di marginalità metropolitana. Niente a che fare con i quartieri ghetto, la rabbia delle banlieue e la separatezza delle Molenbeek. Ma niente a che fare anche con il retaggio postcoloniale, il desiderio di riscatto o di vendetta, una storia in cui radicare i propri atti criminali. E’ un terrorismo fai-da-te, insipiente nelle sue motivazioni, quasi caricaturale nei suoi discorsi, del tutto privo di qualsiasi elaborazione che lo legittimi, ignaro dei suoi stessi perché e precario nei come, nell’autodidattismo elementare, anche rispetto ai metodi di autoaddestramento.
mento è ricoperto di pezzi di legno e, accanto, c’è l’angolo cucina. Un sacco dell’immondizia, scopa e paletta, scatole di scarpe, tutto a terra. «Hanno fatto un disastro – dice la signora del piano di sopra, mentre mostra che i frammenti di legno sono arrivati fino al suo portone. L’appartamento si presenta come il classico luogo utilizzato solo per dormire e mangiare qualcosa. «Tranne i due che ci vivevano, non ho mai visto nessun altro», spiega la vicina. La signora ha fatto fatica a riprendere sonno ieri notte. «Sapere che qui c’erano dei possibili terroristi mi spaventa – dice -. Non avrei mai immaginato, a vederli così. Ho avuto paura. Tutto è finito verso le 6, poi i carabinieri mi hanno telefonato e mi hanno detto che non dovevo preoccuparmi».
La vicina/1 Pensavo ad una bombola esplosa, era l’irruzione La vicina/2 A vederli non avrei mai detto fossero terroristi