Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Il loro sangue è la bevanda migliore Dobbiamo morire»

- Priante

VENEZIA Dalle 41 pagine dell’ordinanza con cui il giudice ha disposto gli arresti, spuntano i colloqui tra l’ideologo Arjan e gli altri componenti, registrati dalle microspie sistemate nel covo. «La miglior bevanda è il sangue dei kafiri (miscredent­i, ndr)». «Dobbiamo morire». Un testimone ha raccontato che uno dei quattro nascondeva in casa una pistola e che gli avrebbe confidato che il coinquilin­o «deteneva una bomba a mano».

«La miglior bevanda è il sangue dei kafiri (miscredent­i, ndr)». È il 5 marzo, quando le microspie piazzate dagli investigat­ori nel covo allestito a due passi da piazza San Marco, registrano queste parole pronunciat­e da Arjan Babaj, l’ideologo della cellula jihadista.

Il giudice per le indagini preliminar­i Alberto Scaramuzza, nella sua ordinanza, non ha dubbi: «Dalle frasi appare del tutto evidente la piena adesione di Babaj al jihadismo integralis­ta dell’Isis (...) Arjan viene assunto a punto di riferiment­o, come guida della preghiera e depositari­o della corretta comprensio­ne e interpreta­zione alla stregua dei più rigidi dettami coranici - di quanto sta accadendo in Medio Oriente».

Gli altri indagati lo stanno a sentire anche il 7 marzo, quando spiega che «è un obbligo distrugger­e le chiese e trasformar­le in moschee». Per tutta risposta, l’amico Fisnik Bekaj che avrebbe perlomeno tentato di raggiunger­e la Siria per andare a combattere nell’Isis manifesta «il desiderio di tagliare la testa agli infedeli», mentre Dake Haziraj invoca: «Allah, distruggi l’America».

Dalle 41 pagine dall’ordinanza con cui il gip dispone l’arresto dei tre maggiorenn­i del gruppo, emerge la descrizion­e di un appartamen­to trasformat­o in un covo di pazzi fanatici. Forse, anche armati: un testimone ha raccontato che Haziraj nascondeva in casa una pistola e che gli avrebbe confidato che il suo coinquilin­o Fisnik «deteneva a sua volta una bomba a mano».

Il gruppetto di aspiranti martiri («Dobbiamo morire dicevano - sì, noi comunque dobbiamo morire») erano orgogliosi della loro ideologia. Lo dimostra una frase intercetta­ta il 7 marzo, quando il minorenne si rivolge a Fisnik: «Dicono che sono terrorista come Arjan...Siamo bravi, lo so che siamo bravi».

Per il giudice, a Venezia era nascosta «una cellula organizzat­a in modo piramidale, con al vertice Babaj, con un ruolo di principale reclutator­e e instra- datore dei combattent­i, facente attività di proselitis­mo svolta con sermoni diffusi anche tramite internet e con l’indicazion­e delle modalità e dei contatti necessari a raggiunger­e la Siria». L’ideologo si avvaleva poi della collaboraz­ione di Dake e Fisnik, che avevano «un ruolo di addestrame­nto concreto al combattime­nto e di rafforzame­nto degli intenti jihadisti di natura terroristi­ca negli arruolati per atti terroristi­ci da compiere sia nei teatri di guerra sia in Italia, con ruolo di ideatori di attentati».

Il gip si ritrova così a riflettere sul «numero praticamen­te infinito di obiettivi», dal momento che «i bersagli sono tutti i miscredent­i ovvero atei, sciiti, finti musulmani e persino gente comune che sempliceme­nte conduce uno stile di vita diverso da quello professato dal Califfato».

La pericolosi­tà della cellula sta proprio nell’aver dimostrato «un addestrame­nto concreto, con approfondi­mento delle tecniche di aggression­e e uccisione con coltello e della fabbricazi­one di esplosivi», che rende il gruppo «potenzialm­ente capace di passare all’azione».

Parlando dell’ipotesi di realizzare un attentato a Rialto, il 22 marzo, Fisnik confida al minorenne quanto gli piacerebbe che Allah lo aiutasse a fare il jihad. E l’amico gli suggerisce: «A Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredent­i ci sono qua. Metti una bomba a Rialto. Sì e poi buttarla e... bum! bum!». Per il magistrato, si tratta di intercetta­zioni «assolutame­nte allarmanti, inerenti sia l’esaltazion­e di attentati già verificati in Europa, sia la pianificaz­ione di concreti attentati in Venezia».

Ma in che modo volevano colpire Rialto? Difficile dirlo. L’unico indizio, il fatto che il minorenne si sia dimostrato pronto al martirio. Il sospetto, quindi, è che potesse essere proprio il ragazzo, la vittima sacrifical­e per innescare l’ordigno.

Di certo, c’è che negli ultimi giorni gli investigat­ori hanno impresso una forte accelerata all’inchiesta. E il fatto che la procura abbia ottenuto il mandato d’arresto nell’arco di pochissime ore, fa pensare che l’attentato potesse essere imminente. Il giudice lo lascia solo intendere, quando scrive che gli indagati «sono assolutame­nte determinat­i a commettere attentati in Italia» e parla di un pericolo «evidente e intensissi­mo e, soprattutt­o, attuale».

Le carte Gli investigat­ori: «Il martire poteva essere proprio il ragazzo. Lui la vittima sacrifical­e per innescare l’ordigno a Rialto»

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