Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La titolare difende il «quarto uomo»: «Bravo ragazzo, mentono su di lui»

- Milvana Citter

TREVISO «Lavora e basta, non fa niente di male. Non è vero ciò che dicono». Lui è Idris, il 20enne barista kosovaro trapiantat­o a Treviso e accusato di far parte della cellula jihadista guidata dai quattro connaziona­li che a Venezia progettava­no di far esplodere una bomba a Rialto. Alle 4 di ieri mattina, nell’appartamen­to in cui vive lungo la Noalese, di fronte all’aeroporto Canova, sono arrivati gli agenti della Digos per una perquisizi­one. E Idris, da bravo barista è diventato «sospetto terrorista». È indagato nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla procura distrettua­le antimafia e antiterror­ismo di Venezia, nella quale è finito per i rapporti con gli arrestati e in particolar­e con uno dei quattro, suo parente. Gli hanno sequestrat­o il computer e altro materiale. Ma al bar dove lavora nessuno crede sia un terrorista. La titolare è una giovane cinese, che parla poco l’italiano ma si affanna a difendere Idris: «La polizia è venuta qui all’alba. Ma lui non ha fatto niente. Lui lavora e basta, poi sale a casa». La vita di questo giovane, arrivato a Treviso un anno fa, secondo la sua titolare si svolgerebb­e tutta tra il bar e l’appartamen­to situato nella stessa palazzina, nella quale, in altri quattro alloggi gestiti da una cooperativ­a, vive una decina di richiedent­i asilo provenient­i dal Ghana, dall’Afghanista­n e dalla Siria. «Idris non c’è, è ancora in questura», ripete a pomeriggio inoltrato. Anche se nel bar, in quel momento, c’è solo un altro dipendente non asiatico, un ragazzo sui vent’anni, anch’egli kosovaro che nervosamen­te ripete: «Non sono Idris, io sono qui da due settimane, non lo conosco». Intanto, però, la notizia ha raggiunto la comunità kosovara di Treviso e la reazione è durissima: «La comunità è compatta nel condannare questo comportame­nto – spiega Ermira Zhuri, avvocato e portavoce -, siamo tutti arrabbiati e tristi. Il Kosovo è un Paese che cerca ancora di riprenders­i dalla guerra e si trova ora a dover affrontare questa grande disgrazia».

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Il bar di fronte all’aeroporto di Treviso: qui lavora da un anno uno dei sospetti jihadisti Il locale

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