Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il patriarca, il rabbino, il musulmano «È l’ora di restare uniti, niente panico»
Le reazioni dei rappresentanti. Moraglia: «Non arrendiamoci al ricatto della violenza»
VENEZIA Cittadinanza e senso civico. E una città in grado di rimanere accogliente e di non farsi sopraffare dalla paura. Hanno una voce unica i tre rappresentanti delle religioni veneziane, il patriarca Francesco Moraglia, il rabbino di Venezia Scialom Bahbout e il presidente della comunità islamica Mohammed Amin Al Ahdab. Un anno e mezzo fa, in piazza San Marco, durante il funerale di Valeria Solesin, fu una predica a tre voci. Oggi dopo l’arresto dei tre kosovari pronti ad un attacco terroristico al ponte di Rialto la voce ritorna comune. Sono parole di condanna ma anche pensieri rivolti al futuro.
«Viviamo in un tempo difficile per la sicurezza e questo chiede da parte di tutti più attenzione e vigilanza – ha detto il patriarca Francesco Moraglia – operazioni come quelle di oggi ci permettono di percepire la città più sicura, tanto per chi ci vive quanto per chi vi lavora e i turisti che, ogni giorno, l’affollano». Una sicurezza che, però, vacilla di fronte ad episodi come questi. In cui il «terrore» si nasconde dietro la porta del vicino di casa. «La paura si vince imparando ad affrontare insieme la quotidianità con uno stile di vita che non si arrende al ricatto della violenza e del terrorismo – continua Moraglia - si tratta di vivere senza cedere al panico; certamente la risposta non è facile ma, proprio per questo, deve essere data con forza sia dalla comunità civile sia dalle comunità religiose affinché la nostra città, da sempre aperta al mondo e luogo d’incrocio di culture, continui a credere nell’incontro e nel dialogo». La preoccupazione, infatti è dietro l’angolo. Pronta ad uscire dai ranghi, incontrollata. E il rischio è che si perda la capacità di accoglienza, di cui il Dna veneziano è intriso da secoli. «Come veneziani – continua Moraglia non intendiamo dimenticare questi valori augurandoci che ogni cittadino sappia collaborare con le istituzioni e le forze dell’ordine».
Un invito a collaborare e farsi parte attiva arriva anche dal rabbino Scialom Bahbout. «Si tratta prima di tutto di senso civico – dice- siamo tutti parte di una città unica a prescindere dal credo religioso. Qualsiasi elemento sospetto dev’essere segnalato. Indubbiamente una città come Venezia è una facile preda del fondamentalismo per la sua fama in tutto il mondo. Colpire il ponte di Rialto sarebbe stato un segnale a tal punto evidente da rimbalzare mediaticamente nel mondo intero. Un ponte simbolo dell’incontro tra le culture in una città che da sempre è aperta. Non è il momento però di lasciarsi prendere dal panico. Dobbiamo rimanere tutti uniti».
Qualche distinzione però la chiede il rappresentante della comunità islamica. «Non finiremo mai di ripeterlo fino allo sfinimento – dice Mohammed Amin Al Ahdab – chi progetta cose di questo tipo e chi le fa non ha nulla a che fare con l’Islam. La nostra religione è pacifica, chi sceglie queste strade si discosta dal Corano e da quello che ha detto il Profeta. Noi crediamo nel dialogo e nel rapporto con le altre religioni e siamo i primi a collaborare. Noi eravamo convinti che a Venezia non ci fossero radicalizzazioni di nessun tipo». La comunità islamica, però, non è l’unica a prendere le distanze dall’accaduto. In primo piano c’è anche la comunità kosovara di Venezia e del Veneto che insieme alla Federazione Islamica del Veneto chiarisce la sua posizione. «L’Italia ed il Veneto hanno accolto con umanità ed amicizia i kosovari profughi della guerra balcanica – scrivono - all’Italia e al Veneto, dove sono nati molti nostri figli, dobbiamo solo gratitudine ed amicizia anche per quello che ancora stanno facendo per la pacificazione in Kosovo».
La comunità kosovara Questa terra ha accolto con umanità i profughi dai Balcani, dobbiamo solo gratitudine