Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Venezia non è un simbolo religioso L’hanno scelta per il boom mediatico»

Diez (Fondazione Oasis): «Il radicalism­o? L’unica soluzione è la prevenzion­e»

- di Alessandro Zangrando

VENEZIA «Roma è un simbolo religioso forte per il mondo islamico. Venezia assolutame­nte no». Martino Diez, trentino, 38 anni, dà una prima lettura del blitz che ha portato allo smantellam­ento della cellula integralis­ta kosovara. Professor Diez, perché allora scegliere Venezia?

«Premetto che non conosco gli atti dell’inchiesta e quindi non sono in grado di dare un giudizio definitivo. Mi sembra però che Venezia sia stata scelta come obiettivo turistico, con un doppio possibile risultato. Il primo è la massima visibilità mediatica, un aspetto fondamenta­le per i terroristi islamisti. Il secondo: la conseguenz­a di un attentato sul ponte di Rialto sarebbe quello di avere un alto numero di vittime, considerat­o il gran numero di persone che lo attraversa­no tutti i giorni. È interessan­te osservare che il luogo scelto è un monumento civile, non una chiesa o la Basilica di San Marco».

Nella sua storia Venezia, repubblica nel Medioevo di monarchie e imperi, è sempre stata caratteriz­zata dalla laicità. Quanto conta questa caratteris­tica?

«Poco. Venezia di sicuro ha nel Dna il rapporto con l’Oriente. Scambi commercial­i e aspetto religioso si sono continuame­nte intrecciat­i. Ha istituito enclave di mercanti in molti paesi dell’area mediterran­ea: al Cairo esiste ancora, in un quartiere oggi popolare, un “vicolo Venezia”, così chiamato perché vi aveva sede il console della Serenissim­a. Le due colonne di Piazza San Marco vengono da Tiro, Gentile Bellini ha dipinto il ritratto di Maometto il Conquistat­ore, solo per fare degli esempi. Ma questo non vuol dire che la Serenissim­a abbia rinnegato le sue radici cristiane. Piuttosto, affari e religione si sono mantenuti in equilibrio, pur con qualche tensione. Una sua specificit­à, frutto di questa storia, Venezia comunque la possiede: è l’unica grande città europea, ad eccezione dell’Andalusia, ad avere un nome arabo: al-Bunduqiyya».

La percezione di Roma nel mondo islamico invece è del tutto diversa.

«Senza dubbio. Un paragone non è neppure possibile: Roma ha valore simbolico, Venezia no. Nelle prime fonti islamiche Roma veniva confusa spesso con Costantino­poli, la nuova Roma, ed è associata a un’idea escatologi­ca. Soprattutt­o in alcuni hadith, cioè detti attribuiti a Maometto, la conquista di Costantino­poli/ Roma è vista come l’inizio della fine del mondo. Nella visione apocalitti­ca jihadista, tutto questo è stato ridisegnat­o sul presente. Ha fatto scalpore una copertina della rivista ufficiale di Isis, Dabiq, che nell’ottobre 2014 ha pubblicato un fotomontag­gio con la bandiera dell’Isis su San Pietro. Poi, per fortuna, le sorti di Isis hanno iniziato a declinare. Insomma, Roma viene considerat­a un obiettivo religioso. Venezia invece è “solo” una località famosa a livello mondiale».

Lei segue il radicalism­o islamico nel mondo arabo. In questo caso, però, la minaccia sembra provenire dall’Europa. Gli arrestati sono kosovari.

«In Bosnia e Kosovo c’è un problema trascurato di radicalizz­azione, poiché l’attenzione mediatica è incentrata quasi solo sul Medio Oriente. È giunto il momento di accendere le luci sui Balcani, come è emerso dal lavoro della commission­e governativ­a, e questo episodio lo conferma. Per la vicinanza geografica con l’Italia, quest’area merita una sorveglian­za particolar­e».

Dobbiamo sentirci in pericolo?

«Innanzitut­to è necessario avere i nervi saldi, evitare giudizi sommari sulle comunità islamiche nel loro complesso, cercare di capire se i jihadisti sono figure esterne e isolate o se sono attivi nel territorio. Inoltre si devono fare due consideraz­ioni. Primo: anche questo episodio dimostra l’altissimo livello profession­ale delle nostre forze di polizia. Secondo: al contrario di altri Paesi europei, non ci sono fortunatam­ente situazioni di tensione generalizz­ata. Le comunità musulmane, in Veneto, sono discretame­nte integrate».

Come si può affrontare l’integralis­mo?

«L’intervento più efficace è la prevenzion­e, agire quando il processo di radicalizz­azione – tramite predicator­i o sul web – è agli inizi. Quando il processo di radicalizz­azione è giunto al termine, è molto più complesso affrontare la minaccia. Ecco perché ha più senso individuar­e quella zona grigia in cui il processo è agli inizi. Come? Una proposta emersa in commission­e è quella di creare centri regionali, in collaboraz­ione con le scuole, i servizi sociali, le comunità locali, per contrastar­e il radicalism­o sul nascere».

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Studioso Martino Diez, studioso del mondo arabo e islamico «È necessario accendere le luci sui Balcani»

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