Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il prefetto: «Chiuderci? Saremo meno sicuri»
Boffi: i fanatici cercano seguaci e si sentono rispondere “gli italiani sono buoni”
«So che le sembrerà strano, che non è la risposta che si aspetta, ma la verità è che più ci apriamo, più siamo solidali e diamo fondo alla nostra umanità e più siamo sicuri. Chiuderci, blindarci, escludere e ghettizzare, marcare sempre più la distanza tra noi e l’altro, non farà che aumentare il rischio. Finiremmo per ottenere il risultato diametralmente opposto a quello che ci proponiamo».
Non c’è che dire, la risposta non era quella attesa. Almeno non dal prefetto di Venezia, Carlo Boffi, non all’indomani dell’arresto di quattro kosovari sospettati di voler far saltare in aria Rialto, non mentre da ogni parte piovono invocazioni per leggi più severe, pene più aspre, più agenti sulle strade e «basta buonismi».
Prefetto, dunque il giro di vite auspicato da tanti, su tutti il governatore Luca Zaia, non serve?
«Non è compito mio dire se servano più leggi o leggi diverse, ma del parlamento. Io sono chiamato a far rispettare quelle che ci sono e rappresento lo Stato, di cui fanno parte anche gli enti locali. Non intendo sconfinare in ruoli politici che non mi appartengono».
E però il blitz di giovedì lascia dietro di sé una constatazione amara: sono tra noi. Come possiamo difenderci?
«Non è un caso che Italia sia il Paese europeo che meno ha patito gli attacchi del fanatismo islamico. È merito della grande professionalità degli inquirenti e delle forze dell’ordine, certo, ma anche delle difficoltà che gli esaltati incontrano nel trovare terreno fertile per le loro azioni. E questo è un successo degli italiani e dei veneti». Cosa intende dire?
«Il nostro senso di umanità e di solidarietà, la facilità con cui le persone di fede musulmana si sono inserite in questi anni nelle nostre comunità, il modo in cui stanno crescendo le seconde generazioni - pensi, per converso, ai tragici casi delle ragazze uccise dai padri perché “troppo occidentali”: è il segno di un’integrazione che funziona - l’assenza sul piano urbanistico di ghetti e banlieu, hanno evitato l’insorgere di quel conflitto sociale ed economico che è il brodo di coltura dell’estremismo religioso».
Più siamo aperti, più siamo al sicuro, diceva.
«Abbiamo prove concrete, raccolte durante l’attività investigativa, che dimostrano come nella fase di reclutamento gli islamisti radicali sbattano contro considerazioni come “gli italiani sono brave persone”, “non ci fanno la guerra”, “qui stiamo bene”, “perché mai dovremmo far loro del male?”. Chiaramente questo non esclude il gesto di un pazzo isolato ma restringe moltissimo il cerchio dei possibili attentatori e facilita il controllo, in collaborazione con le comunità musulmane. Anche l’operazione di giovedì è nata così, seguendo attentamente una persona specifica».
Resta la convinzione che se quel pazzo isolato volesse colpire, potrebbe farlo in qualunque momento. L’ha ricordato anche il padre di Valeria Solesin, ieri sul nostro giornale: l’assalto alla gioielleria in piazza San Marco, due settimane fa, è la prova che non saremo mai davvero al sicuro.
«Lei fa il giornalista. Se il suo vicino di scrivania impazzisse, prendesse un coltello e si mettesse a pugnalare la gente tutt’intorno, lei che potrebbe fare? Il gesto di un folle è sempre possibile ed è per sua natura difficilmente contrastabile. Un assembramento di qualunque tipo, a Venezia o lontano da qui, mette un potenziale attentatore nelle condizioni di agire, anche in modo rozzo. È il buonsenso a dirci che il rischio zero non esiste».
Dunque non si può fare nulla?
«Si può tentare di prevenire quel gesto folle intercettando la fase preparatoria, come è accaduto con i quattro jihadisti kosovari. E nella malaugurata ipotesi in cui l’attacco si verificasse comunque, si può fare in modo che duri il meno possibile. Quando i rapinatori hanno colpito la gioielleria a San Marco, gli agenti sono intervenuti nel giro di 3-4 secondi costringendoli alla fuga. Ripeto: 3-4 secondi. E le assicuro che erano veri professionisti del crimine. Insomma, questi due episodi recenti dimostrano che il nostro sistema funziona alla grande».
I cittadini possono essere d’aiuto?
«I cittadini sono fondamentali, ciascuno è chiamato a dare il suo contributo. Il controllo di vicinato sta dando grandi risultati e tutti gli operatori di polizia sono consapevoli dell’importanza di questo rapporto. Dobbiamo saper ascoltare». E le nuove tecnologie? «Ho molta fiducia nella videosorveglianza: la tecnologia ha fatto passi da gigante e ci permette di ottenere risultati straordinari senza che vi siano abusi della privacy e della riservatezza. Il Grande Fratello incute timore anche a me che sono sì un prefetto ma pure un cittadino, però mi sento di rassicurare tutti, in questi anni non vi è mai stata alcuna intromissione nella libertà altrui. Anche le possibilità di controllo sui telefoni cellulari sono di fondamentale importanza, li portiamo sempre con noi e dicono (quasi) tutto di quel che facciamo e di dove andiamo».
Il gesto del folle è sempre possibile, dobbiamo prevenirlo e, se si verifica, contenerlo