Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Per attaccare devi essere sicuro» Ma i parenti difendono il 17enne «Solo un bambino»

- E.Bir.

Ha solo diciassett­e anni ma ha le idee chiare. Almeno a sentire quello che diceva agli altri membri della cellula, dopo aver trascorso ore a guardare video di combattime­nti e a studiare il Corano. «Adesso dobbiamo “dare” a San Marco», affermava riferendos­i a un possibile attentato a Venezia. Eppure, secondo un parente «è solo un bambino, non l’avrebbe mai fatto». La famiglia del minorenne arrestato e sospettato di terrorismo non crede che il giovane si sarebbe lasciato coinvolger­e. I parenti, contattati al telefono, non vogliono dire nulla di più, ma sono convinti che il giovane non c’entri nulla con l’inchiesta. Dalle indagini, però, emerge tutt’altro: doveva essere lui a indossare lo zainetto carico di esplosivo e a farsi saltare sul ponte di Rialto.

Risulta infatti che il giovane ha lasciato la famiglia in Kosovo qualche mese fa per raggiunger­e Venezia. Lo ospitano ragazzi che lo aiutano a integrarsi e che gli presentano Arjan Babaj, Dake Haziraj e Fisnik Becaj. Poi la decisione di trasferirs­i in centro storico, in uno dei due covi del gruppo. A legarli tutti, in particolar­e, la fede religiosa e una forte convinzion­e comune. Una fede che il diciassett­enne non ostenta in pubblico, tranne che sul suo profilo Facebook. Non pubblica selfie ma versi del Corano e foto de La Mecca. E’ lui, durante le lezione di Babaj nel covo di San Marco, a porre più domande. Ed è sempre lui quello che, interrogat­o dalla sua guida spirituale, non sa rispondere. «Cosa c’è scritto?», gli chiede una volta Babaj, riferendos­i all’espression­e «Allah Resui Muhamed» («Maometto il Messaggero di Allah»). Il giovane, però, non sa tradurre. Ha sete di imparare, non nasconde il suo interesse per le lunghe lezioni di Babaj: «Parlaci di qualche guerra», gli chiede. Sempre presente agli incontri, si allena in gruppo con pesi più leggeri degli altri, e trascorre ore a guardare video dell’Isis. Più passa il tempo e più si convince che è arrivato il momento di colpire Venezia, cosa che afferma dopo aver guardato un servizio sugli attacchi in Turchia riprendend­o con il cellulare Babaj mentre tiene una lezione su un imam. È quest’ultimo a interrompe­rlo, quando se ne accorge, e gli dice di «stare attento a non tradirli». Il diciassett­enne, come sempre, obbedisce. I ben informati ritengono lo stesso atteggiame­nto spavaldo e ingenuo lo dimostra anche dopo il fermo, salvo poi rendersi conto, una volta convalidat­o l’arresto, che le cose si mettono male.

Ora è in carcere a Treviso e la sua famiglia non vuole parlare di lui. Il ragazzo in tempi recenti avrebbe tagliato i rapporti con alcuni zii, ma non si sa perchè. Nessuno dal Kosovo, si è messo in viaggio per venire a trovarlo. Un giovane parente lo difende: «Non crediamo alle sue intenzioni terroristi­che. È un bravo ragazzo».

La famiglia in Kosovo Noi non crediamo alle sue intenzioni terroristi­che. È un bravo ragazzo. È soltanto un bambino, non farebbe male mai a nessuno. Non avrebbe mai compiuto un attentato Vittima sacrifical­e Per gli inquirenti il minorenne poteva essere colui che si sarebbe immolato

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