Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Braccianti come schiavi nel Veneziano
Al lavoro nelle coltivazioni del Veneziano. Arrestata una coppia: minacciavano gli operai con i coltelli
Due stranieri sono stati arrestati con l’accusa di aver ridotto in schiavitù 15 bengalesi, costretti a lavorare nei campi veneziani per 12 ore al giorno, pagati 150 euro al mese.
Le premesse erano buone: 1.500 euro al mese per lavorare nei campi con vitto e alloggio. La maggior parte di loro accettava perché aveva bisogno di un lavoro per poter sperare di ottenere il permesso di soggiorno. Ma la realtà era ben diversa. Gli alloggi erano capanne e roulotte fatiscenti, si lavorava 12 ore al giorno con qualsiasi condizione atmosferica e il compenso effettivo era di 150 euro mensili. E se qualcuno provava a lamentarsi era costretto a subire minacce e percosse.
Sono stati ridotti a veri e propri schiavi, quindici bengalesi tra i 25 e i 40 anni che erano stati reclutati da una coppia di connazionali per lavorare nei campi tra Cavarzere e Chioggia, per coltivare coriandolo, peperoni tipici del Bangladesh e ortaggi da vendere nei mercati. I carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Venezia ieri hanno messo fine all’incubo arrestando i due sfruttatori: Noor Hossain, di 49 anni, e la compagna Asma Hossain, di 47. Entrambi erano già stati denunciati qualche mese fa. I carabinieri, dopo una perlustrazione in elicottero, si sono finti a loro volta agricoltori per riuscire a incastrare la coppia. I terreni, infatti, sono raggiungibili solo a piedi.
«Lavoravano 12 ore al giorno senza riposo, è un caso di gravissimo sfruttamento lavorativo e il degrado in cui erano costretti a vivere è indescrivibile: baracche senza acqua né riscaldamento realizzate vicino ai campi», spiega il maggiore Gianfranco Albanese, comandante del nuovo gruppo tutela del lavoro di Venezia, che ha competenza interregionale.
L’indagine, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia, è cominciata grazie alla segnalazione di due lavoratori che, esausti, hanno deciso di denunciare. Chiedere più soldi non serviva a niente, se non a ottenere minacce, in alcuni casi con coltelli e armi da fuoco. «Vi diamo già l’alloggio», rispondeva la coppia. Non è tutto. «I due coniugi erano aggressivi nel tenere il controllo sui lavoratori», continua Albanese. E questo lo dimostrano le espressioni che talvolta utilizzavano: «Sporco negro, ti rimando in Bangladesh», dicevano. E non è tutto. Quando hanno avuto il sentore che qualcuno dei loro «dipendenti» si fosse rivolto ai carabinieri, hanno cominciato con le minacce di morte. Si facevano forza del fatto che alcuni lavoratori fossero clandestini e che, quindi, avessero bisogno di lavorare.
Gli sfruttamenti e le vessazioni secondo i carabinieri sono andati avanti per almeno due anni, dal 2014 al 2016, fino a che qualcuno, soprattutto chi era riuscito ad andarsene, ha trovato il coraggio di sporgere denuncia. Ed è da lì che gli investigatori sono partiti. «I nostri uomini hanno dovuto camminare nei campi a lungo per avere un punto di osservazione di questa grande baraccopoli», spiega il maggiore Andrea Mattei, comandante dei carabinieri della compagnia di Chioggia, che hanno collaborato all’inchiesta.
La scelta di prendere in affitto un terreno difficile da raggiungere non è stata casuale e permetteva alla coppia di agire indisturbata. I due coniugi sono accusati di riduzione in schiavitù, favoreggiamento della permanenza di un lavoratore clandestino in Italia e minaccia aggravata. Ieri, alle prime ore del mattino, sono stati arrestati su ordinanza di custodia cautelare.