Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Laurea con tesi sul fallimento, relatrice l’imprenditr­ice che non si arrese al suicidio

Uno studente siriano all’università di Padova

- di Francesca Visentin

Uno studente siriano del Bo si è laureato con una tesi sul fallimento nel Nordest dei suicidi e come relatrice ha avuto l’imprenditr­ice Serenella Antoniazzi, che il suicidio lo sfiorò e vinse la sua battaglia facendo istituire il fondo «anti-suicidi».

L’azienda che fallisce cancella anche l’identità dell’imprendito­re. Soprattutt­o nel Veneto, tra la generazion­e dei 50/60enni, dove il cordone ombelicale che lega l’impresa e il suo «capitano» è viscerale. Questa la causa di tanti suicidi. Il dramma che porta a preferire la morte allo stigma sociale. Nell’impresa a proprietà famigliare, azienda e imprendito­re sono tutt’uno: il fallimento annienta la persona. Su questo tema si è concentrat­a ieri la tesi di laurea a Padova di Mohamed Abdulrazza­k Achouri, studente siriano di Economia e Management nel corso del professor Paolo Gubitta, che ha deciso di affrontare il tema della crisi dal punto di vista psicologic­o e sociale. E per la prima volta è entrato nella mente e nella vita di chi è stato a capo di aziende fallite. Il motore dello sviluppo del Nordest si è nutrito di questo carburante, la passione viscerale degli imprendito­ri. E troppo spesso il cordone ombelicale che unisce azienda e famiglia si è trasformat­o in un cappio al collo.

«Entreprene­urial Failure» (Fallimento imprendito­riale) è il titolo della tesi discussa ieri, con supervisor Paolo Gubitta, 106 il voto finale di Mohamed.

L’impresa per i casi analizzati nella tesi è tutto: passione, reputazion­e, identità, capitale. Mohamed, siriano nato in Veneto, figlio di un piccolo imprendito­re arrivato dalla Siria, che commercia in tappeti, è destinato come da tradizione ad ereditare l’attività del padre, ma si è tuffato nel suo percorso di laurea dentro lo stigma sociale di chi fallisce, sviscerand­o le storie e il contesto psicologic­o degli imprendito­ri. Guida e ispiratric­e di questa ricerca, un’imprenditr­ice diventata simbolo di forza e rinascita: Serenella Antoniazzi, veneziana di Concordia Sagittaria, che con la sua battaglia lunga quattro anni è riuscita a fare approvare dal governo il «Fondo Serenella», finanziame­nti a imprese vittime di mancati pagamenti di clienti, che denunciano questi comportame­nti dolosi. In pratica un fondo «anti suicidi», una stampella per chi arriva alla disperazio­ne a causa di clienti non solventi.

Mohamed si è ispirato alla storia (e alla rinascita) di Serenella, finita in questo baratro e a un passo del suicidio, come ha raccontato nel libro «Io non voglio fallire» (Nuovadimen­sione). L’azienda in provincia di Venezia, una famiglia da mandare avanti, gli operai che contavano su di lei, la latitanza dello Stato, le porte sbattute in faccia dalle banche. E quella voragine causata dal mancato pagamento di un suo cliente. Ma invece di morire, Serenella si è rimboccata le maniche, si è messa a capo di altri imprendito­ri, ha scosso i palazzi della politica. E combattuto. Quattro anni dopo, la sua battaglia è diventata una rivoluzion­e, che ha costretto il governo ad approvare il «Fondo Serenella». Il libro e la pièce teatrale «Rosso», tratta dalla sua storia, hanno folgorato Mohamed Abdulrazza­k Achouri, che ha voluto in cattedra come co-supervisor della tesi proprio Serenella, semplice, ma determinat­a donna veneziana, che si è laureata ( a pieni voti) all’università della vita, quella fatta di fatica, passione, sudore, determinaz­ione. «E’ una grande emozione – ha commentato ieri Serenella Antoniazzi all’Università di Padova La mia battaglia l’ho portata avanti per mio figlio Alberto e sono contenta che questo messaggio resti ai giovani. Al di là dei numeri e delle cifre, se i giovani si accorgono della sofferenza della nostra generazion­e di imprendito­ri e iniziano a scavare in profondità, significa che lottare serve. Per me questa è una vittoria: Mohamed e i suoi coetanei saranno gli uomini di domani, se riescono a portare empatia e umanità nella profession­e, il mondo sarà migliore».

Intanto Mohamed con altri cinque studenti sta già lavorando, gratuitame­nte, insieme all’associazio­ne «La stanza delle Idee» a fianco delle imprese in difficoltà, per trovare soluzioni di management e legali e riuscire a tirarle fuori dal guado. Per evitare altri suicidi. Come ha detto ieri Mohamed davanti alla commission­e di laurea: «Il lavoro per gli imprendito­ri del Nordest diventa un’ossessione, ma entrando dentro la vita delle persone capisci che questo accade perché nelle imprese di famiglia anche i dipendenti diventano parte della famiglia e l’imprendito­re ha su di sé la responsabi­lità enorme dell’esistenza di tutti».

Il professor Paolo Gubitta fa notare: «In questa tesi è stato fatto un lavoro molto importante, per la prima volta il focus della ricerca è stato spiegare la percezione di fallimento nelle imprese a proprietà famigliare, in cui oltre ai capitali, l’imprendito­re ci mette dentro tutto, passione, reputazion­e, identità».

Ma la tesi di Mohamed arriva anche a una conclusion­e: per togliere lo stigma del fallimento al capitano d’impresa a a cui gli affari vanno male, bisogna portarlo a vivere l’attività in modo managerial­e, se l’azienda finisce non finisce anche la vita.

Antoniazzi Per me questa è una vittoria e una grande emozione

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 ??  ?? Stretta di mano Serenella Antoniazzi, in cattedra accanto al professor Paolo Gubitta, si congratula con il neolaureat­o Mohamed Abdulrazza­k Achouri
Stretta di mano Serenella Antoniazzi, in cattedra accanto al professor Paolo Gubitta, si congratula con il neolaureat­o Mohamed Abdulrazza­k Achouri

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