Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Laurea con tesi sul fallimento, relatrice l’imprenditrice che non si arrese al suicidio
Uno studente siriano all’università di Padova
Uno studente siriano del Bo si è laureato con una tesi sul fallimento nel Nordest dei suicidi e come relatrice ha avuto l’imprenditrice Serenella Antoniazzi, che il suicidio lo sfiorò e vinse la sua battaglia facendo istituire il fondo «anti-suicidi».
L’azienda che fallisce cancella anche l’identità dell’imprenditore. Soprattutto nel Veneto, tra la generazione dei 50/60enni, dove il cordone ombelicale che lega l’impresa e il suo «capitano» è viscerale. Questa la causa di tanti suicidi. Il dramma che porta a preferire la morte allo stigma sociale. Nell’impresa a proprietà famigliare, azienda e imprenditore sono tutt’uno: il fallimento annienta la persona. Su questo tema si è concentrata ieri la tesi di laurea a Padova di Mohamed Abdulrazzak Achouri, studente siriano di Economia e Management nel corso del professor Paolo Gubitta, che ha deciso di affrontare il tema della crisi dal punto di vista psicologico e sociale. E per la prima volta è entrato nella mente e nella vita di chi è stato a capo di aziende fallite. Il motore dello sviluppo del Nordest si è nutrito di questo carburante, la passione viscerale degli imprenditori. E troppo spesso il cordone ombelicale che unisce azienda e famiglia si è trasformato in un cappio al collo.
«Entrepreneurial Failure» (Fallimento imprenditoriale) è il titolo della tesi discussa ieri, con supervisor Paolo Gubitta, 106 il voto finale di Mohamed.
L’impresa per i casi analizzati nella tesi è tutto: passione, reputazione, identità, capitale. Mohamed, siriano nato in Veneto, figlio di un piccolo imprenditore arrivato dalla Siria, che commercia in tappeti, è destinato come da tradizione ad ereditare l’attività del padre, ma si è tuffato nel suo percorso di laurea dentro lo stigma sociale di chi fallisce, sviscerando le storie e il contesto psicologico degli imprenditori. Guida e ispiratrice di questa ricerca, un’imprenditrice diventata simbolo di forza e rinascita: Serenella Antoniazzi, veneziana di Concordia Sagittaria, che con la sua battaglia lunga quattro anni è riuscita a fare approvare dal governo il «Fondo Serenella», finanziamenti a imprese vittime di mancati pagamenti di clienti, che denunciano questi comportamenti dolosi. In pratica un fondo «anti suicidi», una stampella per chi arriva alla disperazione a causa di clienti non solventi.
Mohamed si è ispirato alla storia (e alla rinascita) di Serenella, finita in questo baratro e a un passo del suicidio, come ha raccontato nel libro «Io non voglio fallire» (Nuovadimensione). L’azienda in provincia di Venezia, una famiglia da mandare avanti, gli operai che contavano su di lei, la latitanza dello Stato, le porte sbattute in faccia dalle banche. E quella voragine causata dal mancato pagamento di un suo cliente. Ma invece di morire, Serenella si è rimboccata le maniche, si è messa a capo di altri imprenditori, ha scosso i palazzi della politica. E combattuto. Quattro anni dopo, la sua battaglia è diventata una rivoluzione, che ha costretto il governo ad approvare il «Fondo Serenella». Il libro e la pièce teatrale «Rosso», tratta dalla sua storia, hanno folgorato Mohamed Abdulrazzak Achouri, che ha voluto in cattedra come co-supervisor della tesi proprio Serenella, semplice, ma determinata donna veneziana, che si è laureata ( a pieni voti) all’università della vita, quella fatta di fatica, passione, sudore, determinazione. «E’ una grande emozione – ha commentato ieri Serenella Antoniazzi all’Università di Padova La mia battaglia l’ho portata avanti per mio figlio Alberto e sono contenta che questo messaggio resti ai giovani. Al di là dei numeri e delle cifre, se i giovani si accorgono della sofferenza della nostra generazione di imprenditori e iniziano a scavare in profondità, significa che lottare serve. Per me questa è una vittoria: Mohamed e i suoi coetanei saranno gli uomini di domani, se riescono a portare empatia e umanità nella professione, il mondo sarà migliore».
Intanto Mohamed con altri cinque studenti sta già lavorando, gratuitamente, insieme all’associazione «La stanza delle Idee» a fianco delle imprese in difficoltà, per trovare soluzioni di management e legali e riuscire a tirarle fuori dal guado. Per evitare altri suicidi. Come ha detto ieri Mohamed davanti alla commissione di laurea: «Il lavoro per gli imprenditori del Nordest diventa un’ossessione, ma entrando dentro la vita delle persone capisci che questo accade perché nelle imprese di famiglia anche i dipendenti diventano parte della famiglia e l’imprenditore ha su di sé la responsabilità enorme dell’esistenza di tutti».
Il professor Paolo Gubitta fa notare: «In questa tesi è stato fatto un lavoro molto importante, per la prima volta il focus della ricerca è stato spiegare la percezione di fallimento nelle imprese a proprietà famigliare, in cui oltre ai capitali, l’imprenditore ci mette dentro tutto, passione, reputazione, identità».
Ma la tesi di Mohamed arriva anche a una conclusione: per togliere lo stigma del fallimento al capitano d’impresa a a cui gli affari vanno male, bisogna portarlo a vivere l’attività in modo manageriale, se l’azienda finisce non finisce anche la vita.
Antoniazzi Per me questa è una vittoria e una grande emozione