Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Orsoni, la difesa: «Contro di lui vendette e falsità»
Spunta un bonifico da 225 mila euro dalla coop a Mazzacurati: finta consulenza
Al processo Mose ieri era il turno delle difese, in particolare dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, accusato di finanziamento illecito ai partiti per la sua campagna elettorale. I legali di Orsoni (che non era presente in aula), hanno smontato le tesi dell’accusa: «Contro di lui è stata consumata una vendetta, perché era indipendente e non si era asservito al sistema Mazzacurati, e sono state dette troppe falsità».
Lui, che in aula aveva fatto un paio di comparsate nei mesi scorsi, ieri non se l’è sentita di essere presente. «Non è una mancanza di rispetto nei confronti di voi giudici - ha spiegato uno dei suoi legali, l’avvocato Carlo Tremolada - ma ha vissuto male questo processo e queste accuse che lo tormentano da anni». Ieri è stato comunque il giorno della difesa dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, accusato nell’ambito dell’inchiesta sul Mose di aver ricevuto finanziamenti illeciti nella campagna elettorale del 2010 con due modalità: 110 mila euro all’apparenza regolari da tre imprese (che in realtà «coprivano» il Consorzio Venezia Nuova) e altri 450 mila, appunto, in nero dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. Sui primi gli avvocati Francesco Arata e Carlo Tremolada sono stati secchi: «Orsoni non poteva sapere nulla del meccanismo illecito di false fatture che c’era alle spalle hanno detto - Ha dato il conto a Mazzacurati, ma credeva di ricevere finanziamenti leciti». Ieri peraltro è emerso un dettaglio nuovo: proprio il giorno dopo aver ricevuto i 247 mila euro dal Coveco (che a sua volta li aveva ricevuti dal Cvn e che sarebbero stati, in ipotesi d’accusa, la «provvista»), la coop San Martino – una delle aziende finanziatrici di Orsoni – aveva effettuato un bonifico da 225 mila euro proprio all’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, pare per una consulenza (sospetta). Anche sui contanti la difesa è stata totale: «Questa tesi non ha senso, avrebbero potuto dargli altri soldi in bianco visto che il limite alle spese fu introdotto nel 2012 - hanno spiegato - Dicono di aver dato a Orsoni soldi che in realtà si sono tenuti».
Nel processo, però, sono entrate in blocco le dichiarazioni rese da Mazzacurati, interrogato più volte dai pm nel luglio 2013, dopo l’arresto per turbativa d’asta; ma soprattutto si sono aggiunte quelle del suo ex segretario Federico Sutto, che ha raccontato di aver portato per ben tre volte delle buste di denaro a Orsoni, per un totale di 250 mila euro. Su Mazzacurati i difensori sono stati tranchant. «Si è vendicato perché Orsoni non gli è stato asservito, ma indipendente e autonomo», ha detto Tremolada, ricordando gli scontri del Comitatone del 2011 (dove l’allora sindaco minacciò di votare contro i soldi al Mose se il governo non avesse finanziato anche la legge speciale per Venezia) e soprattutto sull’Arsenale, che Mazzacurati voleva come quartier generale del Mose con annesso albergo, Orsoni per il Comune. «Fu un colpo durissimo per il vendicativo Mazzacurati», ha detto Tremolada. Quanto a Sutto, il giudizio è ancora più pesante: «Le sue accuse? Falsità grossolane». A partire dall’incontro con Orsoni prima del Natale del 2009 e dalla prima dazione a fine gennaio: «Non c’erano ancora state le primarie».
Tremolada ha usato poi l’ironia ricordando che l’ex segretario, alla domanda sul perché non avesse mai detto dei soldi a Orsoni quando venne arrestato con Mazzacurati per la prima volta nel 2013, aveva risposto che i pm non gliel’avevano chiesto e che si era sentito libero solo dopo l’arresto-bis del 4 giugno 2014, vedendo che il suo ex capo aveva confessato tutto. «Nel 2013 gli venne fatta la domanda su Orsoni e lui negò, dopo il 4 giugno è stato zitto per cinque mesi - ha detto il legale Altro che cuore spezzato! Ha parlato solo a fine ottobre per poter patteggiare». Arata ha toccato invece alcuni punti controversi, tra cui il patteggiamento a 4 mesi proposto e rigettato dal gip – «un atto dettato dallo spirito di servizio, ma lui nel merito si era difeso fin da subito» – a quello che ha definito il «buco Neri». «Luciano Neri era il cassiere e per patteggiare si è fatto confiscare un milione - ha attaccato - Sarebbe stato un teste decisivo, ma a tutti noi è stato impedito di sentirlo». Neri, che gestiva i soldi retrocessi dalle imprese del Cvn, ha potuto non rispondere perché indagato di recente in nuovi filoni. La chiosa è stata sul prestigio di Orsoni. «Non possiamo ignorare chi fosse, queste ipotesi urtano con il suo personaggio - ha concluso Arata - Se Mazzacurati gli avesse proposto soldi in nero sarebbe stato messo alla porta».
Sulle «ruberie» del Consorzio si era soffermato anche l’avvocato Paolo Rizzo, difensore dell’imprenditore Nicola Falconi, accusato di corruzione e anche del finanziamento illecito di Orsoni. «Non c’è la prova che i soldi dati da Falconi al rappresentante del Coveco Pio Savioli siano stati poi usati per corrompere - ha spiegato il legale - Forse se li sono tenuti Savioli o Neri». Rizzo ha poi risollevato l’ipotesi della concussione da parte di Savioli e Mazzacurati, soprattutto nei confronti dei piccoli imprenditori: «Tanti sono venuti qui a dire che temevano di non lavorare più». In mattinata si era difeso anche l’architetto Danilo Turato, accusato di aver gestito i cantieri di villa Rodella, dove le imprese – secondo i pm – lavoravano gratis per l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. «E’ stato tutto regolare - ha spiegato l’avvocato Giovanni Chiello - I due grandi accusatori Piergiorgio Baita e Pierluigi Alessandri non sono testimoni attendibili».
Tremolada Orsoni credeva di ricevere contributi elettorali leciti
Arata Mazzacurati sarebbe stato allontanato se avesse offerto nero