Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Ex popolari, le aziende in difficoltà con i fidi Rischio rientro da 6 miliardi
Fidi deteriorati alla Sga, si teme l’effetto-domino. Ex soci di nuovo in piazza a Schio Il Csm e lo scontro sull’inchiesta Bpvi, Cappelleri: «Accertamenti giusti, sono sereno»
Molte aziende che hanno ottenuto crediti da Bpvi e Veneto Banca stanno facendo difficoltà a rientrare con i fidi e c’è allarme per lo scenario che si prospetta. Uno scenario che potrebbe vedere le liquidazioni o la Sga esigere il rientro dai prestiti. Per una cifra che si aggira sui sei miliardi di euro.
Ex popolari, l’allarme sul credito si sposta sugli affidamenti in difficoltà. Nella navigazione a vista sul mare ignoto della liquidazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e della divisione e gestione delle attività «buone» finite a Intesa Sanpaolo da quelle deteriorate che i liquidatori dovranno passare alla Sga di Napoli, sta lentamente emergendo il rischio legato alle inadempienze probabili. Una montagna di 9,1 miliardi di euro lordi di affidamenti tra le due ex popolari, secondo i loro bilanci 2016, e di 6 miliardi netti rimasti nelle gestioni liquidatorie, secondo la tabella che ricapitola la divisione degli asset nel contratto Tesoro-Intesa, resa nota da Bankitalia la scorsa settimana; una cifra probabilmente per il 40% dei quali in Veneto, se si tiene conto, per dare una prima dimensione al problema, che quella era la proporzione degli impieghi in regione dichiarata da Bpvi nel 2016.
Ora, se sui crediti in bonis dichiarati ad alto rischio, come per quelli a rischio di sovrapposizione nell’incorporazione, le categorie economiche hanno aperto il dialogo operativo con Intesa, ben più rischiosa appare la questione dei crediti deteriorati rimasti nella liquidazione. Ovvero gli affidamenti scaduti da oltre 90 giorni o le inadempienze probabili, i crediti che la banca ritiene di non vedersi restituiti integralmente, senza ad esempio la riscossione delle garanzie. Crediti in difficoltà, certo, ma diversi dalle sofferenze (3,8 miliardi nette quelle rimaste nelle liquidazioni, corrispondenti a 9,6 miliardi lordi). Con crediti scaduti e inadempienti gli affidamenti sono ancora aperti, in ballo ci sono ancora aziende vive o che lottano per sopravvivere. E sulla possibilità di farle tornare in bonis, o al contrario di doverle contare di lì a qualche mese tra quelle che hanno chiuso, classificando i loro crediti come sofferenze, incidono molto i tempi e il tipo di gestione che si fa. Tema di non poco conto. Perché il timore, per ora ancora sotto traccia, è quello che il Veneto possa vivere, proprio a partire da quei 6 miliardi di crediti in difficoltà destinati alla Sga, un pesante effetto a catena sul suo sistema produttivo. E cioé che aziende in difficoltà non gestite a dovere si vedano messe a rientro, e non si vedano finanziate nemmeno dalle altre banche, finendo per saltare. E innescando un effetto-domino sulle altre aziende, partendo dai loro fornitori.
Solo uno scenario drammatico. Eppure i dati oggettivi di partenza non paiono dei più favorevoli. Primo dato che viene restituito, parlando con gli avvocati del settore: le trattative su quelli che erano i crediti in ristrutturazione delle due banche sono bloccati. Il caso più evidente è quello di Stefanel, la società della moda la cui uscita dalla crisi è impostata sull’intervento del fondo Oxy, dopo il via libera delle banche alla ristrutturazione del debito. L’accordo è stato chiuso il 29 giugno; ma è di fatto congelato dalla mancata firma di Popolare Vicenza e Veneto Banca, dopo la liquidazione. Firma attesa entro il 21 luglio, si era detto all’epoca. Ma intanto i giorni passano.
Ma quella di Stefanel, che appare un caso comunque destinato a risolversi, visto che l’accordo è già approvato, non è l’unica vicenda in ballo. E, si dice, nemmeno la più grande. O la più piccola, a seconda della prospettiva che si usa. «Avevamo trattative di ristrutturazione su alcune posizioni, ma per ora siamo fermi. Sui crediti deteriorati non abbiamo riferimenti precisi», dice ad esempio Mauro Vignandel, direttore del confidi degli artigiani Cofidi Veneziano, riferendosi a situazioni legate a Veneto Banca.
Il punto è che la situazione resterà ferma ancora. Per lo meno fino alla conversione del decreto in legge, con la discussione partita ieri al Senato in Commissione finanze. E che si spera avvenga a questo punto entro il 3 agosto, giorno in cui il Senato andrà in vacanza. Non farlo, significherebbe mettere a rischio tutta l’operazione con Intesa, visto che il decreto va convertito in legge entro il 24 agosto.
Ma dando per approvata la legge, il rischio sui 6 miliardi di deteriorati è quello che avverrà dopo, con il passaggio dei crediti alla Sga. Il punto di partenza è che né le liquidazioni né la società del Tesoro hanno una licenza bancaria. E quindi, ad oggi, non potranno gestire il credito difficile come una banca, trovando soluzioni per tenere in vita almeno le aziende che possono tornare in bonis. La logica della Sga è il recupero dei crediti. Con il rischio che la soluzione sia tout court la messa a rientro di quei crediti. Equivarrebbe ad innescare un ciclone sul Veneto e non solo. «Serve che la gestione di questi crediti sia portata qui, vicina ai clienti. E che non faccia di ogni erba un fascio e sappia riconoscere chi merita di star in piedi», sostiene una fonte intorno alle due banche. Battaglia tutta in salita e si vedrà se il Veneto la vorrà fare.
Per evitare di vedere nuove vittime al fianco di quelle già conclamate, i vecchi soci delle due ex popolari. Tornati in piazza, dopo Treviso, ieri a Schio, in una manifestazione organizzata dalla Casa del consumatore, davanti alle filiali di Bpvi e Veneto Banca, con cartelli e striscioni contro il governo e il decreto che ha consegnato le ex popolari a Intesa, sia contro la procura di Vicenza e il governatore Luca Zaia.
Intanto, sul fronte giudiziario, proseguono gli accertamenti avviati dal Csm in merito al clima di scontro venutosi a creare in tribunale a Vicenza, dopo che un giudice ha «congelato» la richiesta di sequestro di 106 milioni di euro avanzata dai pm che indagano sul tracollo Bpvi, dichiarando l’incompetenza territoriale in favore di Milano e scatenando la rabbia del procuratore capo Antonino Cappelleri, che ha pubblicamente sostenuto che «la scarsa risposta dell’Ufficio del gip ha intralciato la nostra iniziativa». In attesa di capire se l’attività del Consiglio superiore della magistratura porterà all’apertura di un procedimento per incompatibilità ambientale nei confronti di uno dei magistrati coinvolti, lo stesso Cappelleri ieri ha spiegato di sentirsi «assolutamente sereno. Il Csm fa bene a fare tutti gli accertamenti che riterrà più opportuni».