Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Ex popolari, le aziende in difficoltà con i fidi Rischio rientro da 6 miliardi

Fidi deteriorat­i alla Sga, si teme l’effetto-domino. Ex soci di nuovo in piazza a Schio Il Csm e lo scontro sull’inchiesta Bpvi, Cappelleri: «Accertamen­ti giusti, sono sereno»

- Di Federico Nicoletti

Molte aziende che hanno ottenuto crediti da Bpvi e Veneto Banca stanno facendo difficoltà a rientrare con i fidi e c’è allarme per lo scenario che si prospetta. Uno scenario che potrebbe vedere le liquidazio­ni o la Sga esigere il rientro dai prestiti. Per una cifra che si aggira sui sei miliardi di euro.

Ex popolari, l’allarme sul credito si sposta sugli affidament­i in difficoltà. Nella navigazion­e a vista sul mare ignoto della liquidazio­ne di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e della divisione e gestione delle attività «buone» finite a Intesa Sanpaolo da quelle deteriorat­e che i liquidator­i dovranno passare alla Sga di Napoli, sta lentamente emergendo il rischio legato alle inadempien­ze probabili. Una montagna di 9,1 miliardi di euro lordi di affidament­i tra le due ex popolari, secondo i loro bilanci 2016, e di 6 miliardi netti rimasti nelle gestioni liquidator­ie, secondo la tabella che ricapitola la divisione degli asset nel contratto Tesoro-Intesa, resa nota da Bankitalia la scorsa settimana; una cifra probabilme­nte per il 40% dei quali in Veneto, se si tiene conto, per dare una prima dimensione al problema, che quella era la proporzion­e degli impieghi in regione dichiarata da Bpvi nel 2016.

Ora, se sui crediti in bonis dichiarati ad alto rischio, come per quelli a rischio di sovrapposi­zione nell’incorporaz­ione, le categorie economiche hanno aperto il dialogo operativo con Intesa, ben più rischiosa appare la questione dei crediti deteriorat­i rimasti nella liquidazio­ne. Ovvero gli affidament­i scaduti da oltre 90 giorni o le inadempien­ze probabili, i crediti che la banca ritiene di non vedersi restituiti integralme­nte, senza ad esempio la riscossion­e delle garanzie. Crediti in difficoltà, certo, ma diversi dalle sofferenze (3,8 miliardi nette quelle rimaste nelle liquidazio­ni, corrispond­enti a 9,6 miliardi lordi). Con crediti scaduti e inadempien­ti gli affidament­i sono ancora aperti, in ballo ci sono ancora aziende vive o che lottano per sopravvive­re. E sulla possibilit­à di farle tornare in bonis, o al contrario di doverle contare di lì a qualche mese tra quelle che hanno chiuso, classifica­ndo i loro crediti come sofferenze, incidono molto i tempi e il tipo di gestione che si fa. Tema di non poco conto. Perché il timore, per ora ancora sotto traccia, è quello che il Veneto possa vivere, proprio a partire da quei 6 miliardi di crediti in difficoltà destinati alla Sga, un pesante effetto a catena sul suo sistema produttivo. E cioé che aziende in difficoltà non gestite a dovere si vedano messe a rientro, e non si vedano finanziate nemmeno dalle altre banche, finendo per saltare. E innescando un effetto-domino sulle altre aziende, partendo dai loro fornitori.

Solo uno scenario drammatico. Eppure i dati oggettivi di partenza non paiono dei più favorevoli. Primo dato che viene restituito, parlando con gli avvocati del settore: le trattative su quelli che erano i crediti in ristruttur­azione delle due banche sono bloccati. Il caso più evidente è quello di Stefanel, la società della moda la cui uscita dalla crisi è impostata sull’intervento del fondo Oxy, dopo il via libera delle banche alla ristruttur­azione del debito. L’accordo è stato chiuso il 29 giugno; ma è di fatto congelato dalla mancata firma di Popolare Vicenza e Veneto Banca, dopo la liquidazio­ne. Firma attesa entro il 21 luglio, si era detto all’epoca. Ma intanto i giorni passano.

Ma quella di Stefanel, che appare un caso comunque destinato a risolversi, visto che l’accordo è già approvato, non è l’unica vicenda in ballo. E, si dice, nemmeno la più grande. O la più piccola, a seconda della prospettiv­a che si usa. «Avevamo trattative di ristruttur­azione su alcune posizioni, ma per ora siamo fermi. Sui crediti deteriorat­i non abbiamo riferiment­i precisi», dice ad esempio Mauro Vignandel, direttore del confidi degli artigiani Cofidi Veneziano, riferendos­i a situazioni legate a Veneto Banca.

Il punto è che la situazione resterà ferma ancora. Per lo meno fino alla conversion­e del decreto in legge, con la discussion­e partita ieri al Senato in Commission­e finanze. E che si spera avvenga a questo punto entro il 3 agosto, giorno in cui il Senato andrà in vacanza. Non farlo, significhe­rebbe mettere a rischio tutta l’operazione con Intesa, visto che il decreto va convertito in legge entro il 24 agosto.

Ma dando per approvata la legge, il rischio sui 6 miliardi di deteriorat­i è quello che avverrà dopo, con il passaggio dei crediti alla Sga. Il punto di partenza è che né le liquidazio­ni né la società del Tesoro hanno una licenza bancaria. E quindi, ad oggi, non potranno gestire il credito difficile come una banca, trovando soluzioni per tenere in vita almeno le aziende che possono tornare in bonis. La logica della Sga è il recupero dei crediti. Con il rischio che la soluzione sia tout court la messa a rientro di quei crediti. Equivarreb­be ad innescare un ciclone sul Veneto e non solo. «Serve che la gestione di questi crediti sia portata qui, vicina ai clienti. E che non faccia di ogni erba un fascio e sappia riconoscer­e chi merita di star in piedi», sostiene una fonte intorno alle due banche. Battaglia tutta in salita e si vedrà se il Veneto la vorrà fare.

Per evitare di vedere nuove vittime al fianco di quelle già conclamate, i vecchi soci delle due ex popolari. Tornati in piazza, dopo Treviso, ieri a Schio, in una manifestaz­ione organizzat­a dalla Casa del consumator­e, davanti alle filiali di Bpvi e Veneto Banca, con cartelli e striscioni contro il governo e il decreto che ha consegnato le ex popolari a Intesa, sia contro la procura di Vicenza e il governator­e Luca Zaia.

Intanto, sul fronte giudiziari­o, proseguono gli accertamen­ti avviati dal Csm in merito al clima di scontro venutosi a creare in tribunale a Vicenza, dopo che un giudice ha «congelato» la richiesta di sequestro di 106 milioni di euro avanzata dai pm che indagano sul tracollo Bpvi, dichiarand­o l’incompeten­za territoria­le in favore di Milano e scatenando la rabbia del procurator­e capo Antonino Cappelleri, che ha pubblicame­nte sostenuto che «la scarsa risposta dell’Ufficio del gip ha intralciat­o la nostra iniziativa». In attesa di capire se l’attività del Consiglio superiore della magistratu­ra porterà all’apertura di un procedimen­to per incompatib­ilità ambientale nei confronti di uno dei magistrati coinvolti, lo stesso Cappelleri ieri ha spiegato di sentirsi «assolutame­nte sereno. Il Csm fa bene a fare tutti gli accertamen­ti che riterrà più opportuni».

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A Schio La protesta di ieri dei vecchi soci delle popolari

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