Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
GLI ATENEI CHE FANNO BUSINESS
Il trasferimento tecnologico è un peso piuma, ma tira colpi micidiali. Nella valutazione delle prime 1000 università stilata dalla rivista inglese Times Higher Education, vale solo il 2,5% la voce «ricavi dall’industria», cioè la capacità di un’università di trarre reddito supportando le imprese con innovazioni, invenzioni e consulenze. In cima alla graduatoria generale che oltre a quella voce ne comprende tre (insegnamento, ricerca e citazioni) col peso, ciascuna, del 30%, e una quarta, l’internazionalizzazione dell’ateneo, valutata il 7,5%, l’Università di Oxford ottiene un punteggio di 63.7 su 100 per la sua abilità di attrarre finanziamenti dal settore privato. Le due università venete presenti tra le 1000 si attestano sul 35,8 di Padova e il 34,7 di Venezia. In vetta tra gli atenei italiani, la Scuola Superiore Sant’Anna prende 87.8 punti, così rientrando tra le più quotate al mondo. Le classifiche sono sempre fonti di dispute sul come raccogliere, elaborare e leggere i valori numerici. Ciò che resta in ombra è il pensiero che si cela dietro i dati. Diceva Einstein che la mente è come un paracadute, funziona solo se si apre. Tuttavia, se ci sono muri nella nostra mente, il paracadutista atterra su uno spazio chiuso. C’è allora da chiedersi se le nostre università abbiano alzato un alto e spesso muro di cinta tra la ricerca fondamentale e l’applicata, lungo la linea del pensiero disgiuntivo.
università che coltiva l’una non può impegnarsi anche sull’altra. È proprio questa mentalità univoca che è messa in discussione non solo dal Times Higher Education, ma anche da prestigiosi atenei come l’Università di Lovanio dove si afferma che i confini tra le due aree di ricerca sono confusi: l’una e l’altra si sostengono reciprocamente. Il direttore del trasferimento tecnologico di quell’Ateneo, con 99,9 punti da ricavi industriali, ha fatto notare che molti ricercatori sono sconfinati nel campo della ricerca fondamentale dopo aver combattuto sull’altro fronte. Lungo il dipanarsi della storia, un netto contrasto di qualità tra la ricerca industriale e l’accademica non ha retto alla prova dei fatti, e si è rilevata dogmatica la presunzione che ricerca applicata e sviluppo dei prodotti richiedano meno potenzialità cerebrali rispetto alla ricerca pura. Venendo all’oggi, in Veneto un cambio di rotta è in corso con Unismart Padova Entrerprise, la società inhouse dell’Università degli Studi di Padova che gestisce le attività di trasferimento tecnologico e consulenza dell’Ateneo. Abbattuto quel muro di cinta, Unismart si accinge a coniugare la locuzione cartesiana «penso dunque sono» con la proposizione formulata da Edward de Bono, il padre del pensiero laterale: «agisco, quindi costruisco». Valorizzando l’investigazione scientifica con l’azione, il trasferimento tecnologico è un peso piuma che davvero conta. Dall’interazione tra gli algoritmi mentali della ricerca fondamentale e la loro traduzione in processi produttivi affiorano progetti imprenditoriali che arricchiscono il tessuto industriale del Veneto mentre offrono alle sue università risorse aggiuntive e nuovi stimoli intellettuali.