Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La grande sfida della montagna è lanciata «Anche noi vogliamo il residuo fiscale»
QUI BELLUNO ORGANIZZATORI PRONTI Più autonomia (e risorse) dalla Regione che la chiede allo Stato: ecco come
La più rosea delle aspettative si è concretizzata in una scheda rosa: il 22 ottobre i bellunesi saranno chiamati a esprimersi al referendum per l’autogoverno della Provincia, nello stesso giorno in cui si voterà anche per l’autonomia del Veneto. Pochi mesi fa, quando l’allora presidente della Provincia Daniela Larese Filon aveva manifestato l’intenzione di promuovere un referendum parallelo a quello regionale, l’idea sembrava più una boutade che una proposta concreta. Invece si voterà davvero. Il quesito?: «Vuoi che la specificità della Provincia totalmente montana di Belluno venga ulteriormente rafforzata con il riconoscimento di funzioni aggiuntive e delle connesse risorse finanziarie e che ciò venga recepito anche nell’ambito delle intese Stato-Regione per una maggiore autonomia del Veneto ai sensi dell’art. 116 della Costituzione?»
Di autonomia, in provincia di Belluno, si parla da decenni a causa della vicinanza con il Trentino-Alto Adige e il Friuli, che in forme diverse la esercitano già. Belluno è la provincia più estesa e meno popolata del Veneto, una terra che conta seimila frane attive (tra cui anche quella del Tessina, in Alpago, la più grande in Europa) e inesorabili dinamiche di invecchiamento e spopolamento. Servono soldi per infrastrutture, manutenzioni, e politiche sociali. Un freno alla valanga che sta portando la popolazione attiva verso il fondovalle e la pianura. La Provincia ha gettato il sasso nello stagno a metà maggio, chiedendo di andare oltre il lavoro già intrapreso dalla Regione per il referendum autonomista regionale. Non bastava l’introduzione del concetto di «specificità bellunese» introdotto nello Statuto regionale nel 2011, né la legge regionale 25 del 2014, che stabilisce che alla Provincia di Belluno siano trasferite deleghe e le risorse per esercitarle. Dalla Provincia è partita la sfida: affiancarsi al referendum regionale per cercare di mettere le mani sul residuo fiscale bellunese.
Il governatore Zaia, che aveva avviato l’iter del referendum regionale a marzo 2016, ha allargato le braccia: «Siamo disponibili per l’election day ma la Provincia deve arrivare con tutte le carte pronte» aveva detto a fine maggio. La scorsa settimana, sembrava che il referendum bellunese fosse destinato a inabissarsi nella burocrazia. Invece, mercoledì una comunicazione del Ministero dell’Interno ha fatto chiarezza: nessuna dimenticanza, Belluno e Venezia si mettano d’accordo. La base di partenza sarà la bozza di convenzione che la Provincia ha predisposto per accelerare i tempi, e che prevede che Palazzo Piloni paghi tutte le spese riferibili alla propria consultazione (produzione, trasporto e consegna schede) e condivida con la Regione quelle indivisibili (rimborsi ai Comuni per i seggi e retribuzione degli scrutatori). «Sta per essere perfezionata l’intesa con la Regione per la celebrazione contestuale, seppur distinta, con il referendum regionale sul quale abbiamo espresso la nostra adesione spiega Amalia Serenella Bogana, presidente pro tempore della Provincia - Non ho mai parlato di secessione».
Quello bellunese non sarà un referendum contro la Regione, con cui comunque ci sono stati diversi bisticci sull’applicazione della legge sulla specificità: «Di scontri del genere me ne aspetto sempre, perché mi pare che quelli degli ultimi mesi non abbiano avuto una reale valenza amministrativa, ma che avessero una radice politica», commenta il presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti. Negli ultimi 12 anni, in provincia di Belluno sono svolti diversi referendum di stampo autonomista: ha iniziato il paese di Lamon nel 2005 per aggregarsi al Trentino, seguito da Sovramonte l’anno successivo e, passo dopo passo, da tutti i Comuni di confine che si affacciano sul Trentino-Alto Adige e da alcuni (Sappada e Pieve di Cadore) che confinano con il Friuli. Nessuna risposta, finora, da Roma. Questo pare non placare la sete di consultazioni: «Faremo campagna elettorale per il “sì” a entrambi i referendum», annuncia il deputato bellunese Federico D’Incà (M5s). Il senatore Giovanni Piccoli (Forza Italia), rilancia: «Se Belluno vuole contare e lanciare un messaggio, lo deve fare il 22 ottobre. Non è il tempo dei distinguo politici, ma della mobilitazione». Anche gli autonomisti del Bard invitano il territorio all’azione: «Con il via libera al referendum di Belluno – commenta il consigliere provinciale Ivan Minella – si apre la sfida più difficile: dare il messaggio giusto e veicolarlo bene».
Roberto Ciambetti I bisticci con la Regione? Mi pare mossi più da ragioni politiche che amministrative