Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Stipendio, Bettin rinuncia alle porte chiuse
Mozione sul portavoce, bufera sulla discussione in Consiglio senza pubblico
(lunedì), ha deciso che la mozione presentata da Matteo Cavatton (Bitonci Sindaco), volta a far luce sull’assunzione in Comune dell’ex segretario provinciale del Pd Massimo Bettin nella veste di portavoce del sindaco Sergio Giordani, verrà discussa a porte chiuse. Cioè non solo senza pubblico e senza giornalisti. Ma anche senza registrazione audio-video e senza stesura del verbale.
Una scelta, quella assunta da Tagliavini e condivisa (almeno in via ufficiale) dall’intera maggioranza, «perfettamente in linea con quanto stabilito dalle norme». Ma in politica, si sa, il ligio rispetto delle regole fa spesso a pugni con le ragioni di opportunità. «Fatico a capire cosa ci sia da nascondere – è sbottato ieri mattina Cavatton, con a fianco il leghista Alain Luciani e la forzista Eleonora Mosco – Tanto più da parte di chi, in campagna elettorale, non ha fatto altro che promettere la massima trasparenza di ogni atto amministrativo e che il Municipio sarebbe diventato una casa di vetro. Comprendo invece l’imbarazzo che si avrebbe nel dover giustificare il fatto che il signor Bettin, il cui curriculum si ferma al diploma di maturità scientifica senza alcuna esperienza lavorativa, costi alle casse comunali più di 80mila euro all’anno e percepisca uno stipendio mensile, pagato coi soldi di tutti i padovani, di 5mila euro lordi».
Parole, quelle di Cavatton, che hanno costretto il portavoce di Giordani a chiedere una marcia indietro a Tagliavini: «Non ho alcun problema affinché la discussione avvenga in maniera pubblica – è intervenuto ieri sera Bettin – E dunque la presidenza del consiglio si senta libera nell’agire nel modo che ritiene più opportuno». (d.d’a.) Cgil, Cisl e Uil di Padova, insieme a Pubblico Impiego e Pensionati, chiedono, quanto a Ipab (case di riposo pubbliche) un tavolo con tutti gli attori politici locali. Per i sindacati, le Ipab del territorio non se la passano bene: le impegnative di residenzialità (cioè i contributi elargiti dalla Regione al paziente) sono ferme al 2009, e intanto sono sorte strutture private che hanno assorbito parte delle quote. Inoltre le strutture private pagano un’aliquota Irap del 3,9%, contro l’8,5% di quelle pubbliche. Una riforma in materia è attesa da 16 anni in Veneto. I sindacati, ieri riuniti in conferenza stampa a Padova, chiedono che le Ipab restino pubbliche e che diventino “Centri di servizio sanitario e socio sanitario”, utilizzando il personale anche per altre mansioni, come ad esempio fornire ai Comuni l’assistenza domiciliare. (m.d’f.)