Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Marchi: «Salirò di nuovo in Save A Finint i crediti delle ex popolari»
Il presidente dopo il successo dell’Opa: «Acceleriamo sugli investimenti»
«Abbiamo raggiunto un risultato che tutti ritenevano improbabile». Si gode la vittoria Enrico Marchi, patròn di Finint dopo il tormentato divorzio da Andrea De Vido, e presidente di Save, all’indomani dell’esito dell’Opa obbligatoria sulla società. Anche la Atlantia dei Benetton ha annunciato l’adesione, consegnando il suo 22% in cambio di 260 milioni, alla Agorà di Marchi e dei fondi di Infravia e Deutsche Bank, proprietari di Save per oltre l’80%. Il nuovo assetto a tre ha già il 97% della società degli aeroporti di Venezia e Treviso, potrà salire al 100% e far uscire Save dalle Borsa, dove aver tirato fuori solo per l’Opa 457 milioni.
La quiete dopo la tempesta. Perché dopo l’operazione del 2013, quando uscirono le Generali, Marchi ora ha portato a casa un triplo salto mortale senza rete: liquidare De Vido, mantenere Finint e trovare i soldi per evitare di dover vendere Save dove resta alla guida in un patto con i fondi - alla Atlantia dei Benetton, che un anno fa aveva messo 180 milioni sul piatto per comprare le azioni del Fondo Amber e di Fondazione di Venezia. Marchi parte quasi a sorpresa: «Ringrazio tutta la squadra di Save e Finint, i legali e i professionisti, e la fiducia di Intesa e Unicredit, a partire da Gaetano Micciché e Lucio Izzi, motori dell’operazione. Io ho fatto il direttore d’orchestra».
Si sminuisce un po’ troppo. I consulenti bravi si trovano. Il punto è stato costruire un’operazione da un miliardo ritenuta impossibile.
«Il mio compito è stato immaginare quel che era possibile e poi convincere gli altri a seguirmi. Non è stato facile: all’inizio chiaro che pareva una missione impossibile. Potevo scegliere anch’io di fare il ricco signore, ma sono soddisfatto. Abbiamo messo nella giusta carreggiata due aziende strategiche per il territorio e l’Italia: Finint banca d’investimento e il terzo polo aeroportuale italiano, l’unica operazione di sistema a Nordest, dopo aver perso autostrade, utilities e banche».
Ora che succederà? Nell’assemblea del 23 nominate il nuovo cda. Poi semplificherete la catena di controllo?
«Ci sarà una grande semplificazione. Ridurremo tutto a Milione spa azionista di Save».
Le obiezioni: il riassetto in Save consegna a due fondi esteri l’80%. E non si capisce che succederà tra 4 anni.
«Siamo partiti come Finint, via Urvait, con l’1% di Save. Siamo cresciuti fino al controllo con Morgan Stanley. Ho dovuto dividermi da un socio con cui avevo lavorato quarant’anni per i suoi problemi di carattere personale e la mia percentuale è scesa. Ma il governo di Save resta chiaro. Ho detto ai fondi: ‘se ci fossero problemi sono disposto a mettere in gioco tutto. Ma se le cose vanno, lasciateci lavorare’. Non a caso rimarrò presidente e Monica Scarpa amministratore delegato, con un’ottima squadra che dà risultati». Sì, ma dopo? «Il mio obiettivo è rimettere fieno in cascina e ricrescere in Save e farla restare indipendente. Sono impegnato a investire al massimo, spero di tornare al quadro di prima con i risultati economici di Save e Finint».
Pensa di tornare a riprendersi la maggioranza già tra 4 anni con altri fondi? In ballo ci sono tanti soldi.
«Vede, siamo nella stessa situazione di un anno fa: cercare d’immaginare e costruire operazioni che gli altri ancora non vedono. Ho già in mente come fare. Per Save e Finint ci sono grandi prospettive. Credo grazie alla loro crescita e al mio impegno da investitore di poter risalire in Save. Quando, come e in che misura lo vedremo».
Anche in Finint avrà bisogno di trovare compagni di viaggio? Aprirà il capitale?
«In Finint c’è un grande entusiasmo. E credo potremo dare un contributo su quel che resta delle due ex popolari venete in contatto con la Sga».
Vi candidate a diventare tra le banche d’appoggio per gestire i crediti deteriorati?
«Potremmo fare un gran lavoro. Abbiamo già una squadra e siamo disponibili ad assumere ancora. Già ora, con le attività che abbiamo, cerchiamo 70 persone. E potremmo assumerne qualche centinaio dalle ex popolari per gestire sofferenze e deteriorati. Sarebbe un modo per ridare al Veneto parte di quel che ha perso. E una scelta di politica industriale sul territorio di far crescere una realtà che ha già dato prova di sé. Potremmo creare occupazione, competenze e sviluppo partendo dal triste esito delle ex popolari. E credo sia complicato dotare la Sga di una struttura per quella massa di crediti».
Torno a Save. Altra obiezione è sulla volontà di far uscire Save dalla Borsa.
«Curioso che a muoverla siano gli stessi che mi avevano fatto in passato causa per evitare che la quotassi».
Sì, ma il timore è rispetto alla trasparenza delle mosse su un asset di rilievo pubblico. L’adagio è: se la gestiranno lontano dai riflettori.
«Negli accordi con i fondi ci siamo dati la regola di gestire Save come una società quotata. E siamo soggetti ai controlli Enac E da ultimo mi lasci dire: la storia degli ultimi anni parla per me. E c’è dell’altro». Prego. «Acceleriamo il piano investimenti. Pensavamo di ingrandire il terminal per fasi. Invece svilupperemo tutto insieme. In 8-10 anni avremo un terminal tre volte quello di partenza».
L’altra obiezione è: toglieranno risorse da Save per ripagare debiti e investimenti.
«La prima scelta-guida sarà di avere tutte quelle per fare gli investimenti. Nei prossimi anni saranno per 100 milioni l’anno. Nel 2019 inaugureremo l’ampliamento dell’aerostazione dedicata ai voli extra-Schengen».
Su Verona come avanza il pian0 per Save in maggioranza? Il nuovo assetto genera dubbi nei soci veronesi?
«Non mi pare. Abbiamo avuto incontri anche recenti col presidente della Catullo Paolo Arena e di Aerogest Giuseppe Riello: i rapporti sono ottimi. Ricordo che prima del nostro ingresso Verona aveva perso 60 milioni; in due anni l’abbiamo riportata in utile e oggi cresce piu della media nazionale. Tra un anno apriremo i cantieri per ampliare l’aerostazione».
Quando vedremo Save in maggioranza nella Catullo?
«Dipenderà dagli altri azionisti. Mi auguro che il percorso che avevamo disegnato vada avanti. Non ho motivo di pensare diversamente. Alla fine l’obiettivo è che Save sia il luogo dove si fanno gli interessi di tutto il sistema».
Senta, ma alla fine: perché Atlantia e i Benetton no?
«Non ho nulla contro Atlantia e i Benetton: ammiro quanto hanno fatto, ho visto nel loro investimento in Save un’attestazione di stima e sono contento sia stata un’occasione di guadagno. Ma siamo due operatori industriali. E come ho messo nelle clausole con i fondi non voglio si venda agli operatori industriali, perché Save non sia il braccio di una società con sede a Roma, Londra o Parigi, ma la testa di un sistema che gestisce. Abbiamo tutte le capacità, la forza manageriale ed economica per farlo».
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