Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
QUANDO LA DIFESA È (IL)LEGITTIMA
Dal sito del Senato risulta «non ancora iniziato l’esame» del ddl recante le discusse modifiche in materia di legittima difesa, trasmesso dalla Camera il 4 maggio scorso, e tutto fa ragionevolmente prevedere che le proposte di riforma, già oggetto di contrastanti valutazioni politiche, saranno probabilmente affrontate solo nella prossima legislatura, anche se non si può certo escludere che esse tornino di estrema attualità proprio nel corso della ormai (di fatto) avviata campagna elettorale. La cronaca del resto è densa di continui riferimenti al tema, che rimane di estrema e scottante attualità, anche se con sovrapposizioni ed equivoci agevolati dalla sua indubbia complessità tecnica e politica. Tutti sappiamo come la sicurezza dei cittadini, minacciata da più parti e non sempre adeguatamente garantita dalle istituzioni, sembra stare, o dovrebbe stare, a cuore di coloro che ci governano o ambiscono di farlo. Alcune cose possono comunque essere sicuramente chiarite. Innanzitutto bisognerebbe che tutti avessero l’onestà intellettuale di sgombrare il campo da una pericolosa e irrealizzabile illusione: poiché si tratta di «giustificare fatti tipici di delitto contro la persona» (uccisioni, ferimenti etc.), non è possibile fare a meno della indagine penale che tale giustificazione deve necessariamente accertare, e nessuna legge potrà mai evitarlo. Ogni contraria affermazione è fuorviante, e strumentale ad uno sfruttamento demagogico delle dolorose vicende delle vittime, e non mira realmente a risolverne, né ad attenuarne, le sofferenze che certo, come in tanti altri casi, sarebbero in buona misura ridotte da una diversa rapidità ed efficienza del servizio Giustizia. Positivo, piuttosto, al riguardo il principio sancito dall’art.2 che pone a carico dello Stato il costo della difesa della «persona dichiarata non punibile» per essersi legittimamente difesa, anche se appare macroscopica e inaccettabile la discriminazione nei confronti di coloro che invece siano stati assolti per insussistenza o estraneità al fatto, e che dovrebbero continuare a sopportare i costi della loro difesa. Altro limite tecnicamente insuperabile, anche da parte dei più accesi, e non saprei quanto sempre consapevoli, sostenitori della «difesa sempre legittima», è quello costituito dall’art.2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, secondo cui la morte non può essere volontariamente inflitta ad alcuno (e quindi neanche agli aggressori).
Salvo che per «ricorso alla forza resosi assolutamente necessario per difendere ogni persona da una violenza illegittima». Non è possibile quindi per il legislatore uscire dal tracciato obbligato della difesa assolutamente necessitata, e di ciò sembra pienamente consapevole anche la proposta di modifica laddove richiama e conferma la vigente previsione dei requisiti di legittimità della difesa (necessità e proporzione, appunto).
Occorre quindi una offesa attuale non altrimenti evitabile da parte di altri, non potendo la difesa che esercitarsi contro costoro e non trasformarsi piuttosto in una autonoma offesa. Si deve poi trattare di una difesa necessaria per paralizzare, bloccare, l’attacco dell’aggressore, e non di una «punizione» di quest’ultimo, sempre inibita al privato, e rigorosamente riservata allo Stato. Anche qui spesso nel dibattito politico, e nella turbata coscienza dei cittadini, si possono scorgere gravissimi e – almeno per gli addetti ai lavori – inaccettabili slittamenti linguistici di inquietante portata. Non si pone cioè, né si può porre, la questione di sostituirsi allo Stato e alle sue, effettive o ritenute, carenze e debolezze per infliggere una pena a chi delinque più o meno impunemente, ma, soltanto, di anticipare la difesa come autodifesa del privato, ogniqualvolta quella pubblica, doverosa a tutela di ogni cittadino e persona, non può tempestivamente ed efficacemente intervenire.
Al di là di ogni facile battuta umoristica sui limiti e portata delle nuove disposizioni riguardanti le aggressioni subite «in tempo di notte» (come già accade in Francia), un importante rilievo riguarda invece la esclusione della responsabilità per colpa, quando «l’errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione posta in essere in situazioni comportanti un pericolo attuale per la vita , per l’integrità fisica o per la libertà personale o sessuale» (art.59). Tale scriminante (di non semplice applicazione) dovrebbe operare anche, se non esclusivamente, nei casi di eccesso colposo (art.55), mentre l’attuale formulazione e collocazione non sembra purtroppo prevederlo.
Sotto diverso profilo, però, la disposizione offre il destro per una osservazione conclusiva di sicuro interesse concreto: le tanto criticate, e per molti sconcertanti, condanne al risarcimento dei danni patiti da persone ferite o uccise a seguito di reazione alla loro aggressione potrebbero o dovrebbero venir meno, o subire importanti limitazioni quantitative anche in caso di condanna per eccesso colposo o per difesa putativa colposa, attraverso l’applicazione del generale principio sancito dal codice civile secondo cui chi ha concorso a cagionare il danno deve subire una riduzione del risarcimento, mentre questo va radicalmente escluso quando il danno poteva essere del tutto evitato dal medesimo danneggiato «usando l’ordinaria diligenza».
Una applicazione ancor più incisiva di questi principi è già prevista con la esclusione delle riparazioni per ingiusta detenzione per tutti coloro che, per dolo o colpa grave, abbiano dato causa, o concorso a dare causa, ad una custodia cautelare, e che così non ricevono alcun indennizzo. Non sembrerebbe davvero scandalosa una previsione analoga, adeguatamente calibrata, per coloro che commettono gravi reati contro la vita, l’incolumità, l’inviolabilità del domicilio e il patrimonio delle persone, e in favore dei quali potrebbe così non riconoscersi il risarcimento richiesto.