Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Gli atenei, la Regione e il primo cortocircuito dell’autonomia
Un altro è dare linee guida che rischiano di essere in controtendenza con una istituzione essenzialmente cosmopolita come è – e non può non essere – l’università, fin dalle origini della sua storia (che vede nell’università di Padova e nel suo motto – Universa universis patavina libertas, che all’ingrosso significa che la libertà di Padova si rivolge a tutti, innanzitutto aprendosi agli stranieri, sia come studenti che come docenti – uno dei più antichi e prestigiosi esempi).
Si spiega, dunque, la cautela dei rettori che si sono fin qui espressi. Un esempio, che mostra come le logiche accademiche e quelle di certo autonomismo confliggano anche quando non si incontrano sullo stesso terreno, è dato proprio dalle prime iniziative di bandiera del venetismo, approvate già prima del referendum (e che dall’autonomia rischiano di essere rafforzate). Le università sono valutate in base a ranking internazionali, dove proprio il livello di internazionalizzazione ha un peso di rilievo: numero di docenti e di studenti stranieri, numero di pubblicazioni in inglese, partecipazione a progetti di ricerca internazionali. I provvedimenti «prima i veneti», che vincolano l’erogazione di risorse (accesso ai servizi sociali, agli asili, agli alloggi popolari, ecc.) a una permanenza di almeno quindici anni in regione, il rifiuto di riconoscere la diversità etnica, culturale e religiosa (impensabile in un laboratorio scientifico) o i tentativi di imporre il dialetto, sono di per sé all’opposto delle logiche di funzionamento dell’università, pur non parlando di essa. E mostrano quanto quella sull’autonomia sia anche – forse soprattutto – una battaglia culturale non su ciò che si è, ma su dove si vuole andare.