Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
SVELARE LA MAFIA IN VENETO
La Cassazione (Sezione 2) con le motivazioni depositate l’8 novembre scorso è ritornata ad occuparsi di una delle questioni nevralgiche riguardanti i reati di associazioni criminali di «tipo mafioso», italiane e anche straniere, che infestano ormai, ancorché con modalità diverse, gran parte del nostro territorio nazionale e, in misura certamente significativa, purtroppo anche il Veneto. Il caso riguardava un gruppo di moldavi (circa 80) organizzati gerarchicamente che, agendo nel territorio veronese e nelle province limitrofe, venete, lombarde ed emiliane, oltre a commettere diversi crimini, controllavano pienamente i movimenti transnazionali di merce e persone da e verso la madrepatria, dei propri connazionali, costringendoli tutti a pagare, anche più volte, il cosiddetto «pizzo» per ciascun movimento e trasporto, e così quindi tenendoli assoggettati al loro pieno controllo. E’ chiaro però che in questi casi, trattandosi di associazioni straniere, l’azione giudiziaria di investigazione e contrasto incontra particolari difficoltà, e non è nemmeno pensabile che la forza intimidatrice dell’associazione possa dispiegarsi pienamente con le stesse evidenze e incisive diffusività che le sono proprie nel territorio di origine. Lo stesso, pur con i dovuti distinguo, potrebbe poi dirsi per l’operato delle varie organizzazioni mafiose delle regioni meridionali nei territori del settentrione italiano.
Cassazione L’inchiesta su un’organizzazione moldava e una sentenza
Esigere una medesima, e pressoché sovrapponibile, fenomenologia operativa e un analogo controllo territoriale, anche nei diversi contesti socio-ambientali, equivarrebbe quindi quasi ad escluderne generalmente la loro «mafiosità» al di fuori dei luoghi di origine. Le conseguenze pratiche in termini di forte indebolimento della risposta repressiva sarebbero così notevolissime, non solo per la minore entità delle pene previste ma anche, se non soprattutto, della modalità della loro esecuzione, in riferimento ai divieti dei vari benefici previsti per le associazioni di tipo mafioso dall’ordinamento penitenziario. Ebbene la Cassazione, seguendo orientamenti più recenti e rigorosi, ha escluso la «indispensabilità del radicamento territoriale», affermando che il delitto ex art.416 bis c.p. è configurabile «anche con riguardo ad organizzazioni che, pur senza controllare indistintamente quanti vivono o lavorano in un determinato territorio, circoscrivono le proprie illecite attenzioni a danno dei componenti di una specifica collettività, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi». Ciò esclude fra l’altro il paradosso che un più «spiccato senso civico» ed una cultura della legalità più forte in determinate popolazioni, offrendo maggiore resistenza alla penetrazione sociale della subcultura mafiosa, attenuino l’efficacia degli strumenti giudiziari di contrasto. In Veneto quindi sarà possibile intervenire con tali strumenti anche contro organizzazioni che per così dire abbiano una portata operativa più limitata non riuscendo, fortunatamente, ad attingere le istituzioni e la generalità dei cittadini e della loro vita lavorativa e civile. Di ciò occorre che tutta la magistratura, anche quella meno abituata a confrontarsi con tali tipologie criminologiche, acquisisca piena consapevolezza. Alla stessa stregua sarà possibile - ed è questo il secondo importantissimo principio enunciato nella decisione - non escludere valenza probatoria agli indizi logici e fattuali desumibili dall’esame dell’insieme di singole condotte e azioni criminose, e quindi pervenire, attraverso la prova logica, al giudizio relativo all’esistenza del vincolo associativo ed alla sua tipologia, valutando cioè, attraverso la piena utilizzazione di tutto il materiale disponibile, le modalità operative del sodalizio per eventualmente ricondurle ai tratti distintivi dell’associazione mafiosa