Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Soldi falsi, carte di credito e patenti presi i «baby hacker» del dark web
Este, nei conti di un minorenne e di un neodiciottenne c’era mezzo milione di euro
Provenienza Este, destinazione Grecia e Svizzera.
Dentro ai cinque plichi sospetti, intercettati a Padova nel centro meccanizzato delle Poste e nel centro smistamento di un corriere, c’erano 24 banconote false per un valore complessivo di seimila euro. E il mittente era un insospettabile studente diciottenne con un portafoglio elettronico da 500 mila euro.
I carabinieri di Padova e di Este hanno sgominato una cellula di giovanissimi hacker che acquistava merce contraffatta sul dark web (la rete sommersa dove si può navigare in forma anonima, spesso utilizzata per attività illecite) e la rivendeva in tutto il mondo, dall’Asia al Nord America passando per l’Europa.
Non a caso l’operazione è partita da una segnalazione della polizia austriaca al Comando antifalsificazione monetaria dei carabinieri, con la scoperta di venti banconote false da venti euro ciascuna spedite dall’ufficio postale di Este poco più di un anno fa. Le indagini dei carabinieri, coordinate dal procuratore capo di Rovigo Carmelo Ruberto e dal pm Davide Nalin, hanno consentito di risalire al mittente e di rintracciare i plichi di passaggio a Padova, dove sabato scorso i militari dell’Arma hanno sequestrato anche documenti falsi e altre banconote contraffatte da 50 euro l’una. Gli hacker sono due giovani di Este, entrambi incensurati, uno arrestato e l’altro denunciato, che agivano con un complice fiorentino in corso di identificazione; dal portafoglio elettronico del giovane arrestato, uno studente diciottenne che vive da solo, sono spuntate circa 640 transazioni per un valore complessivo di circa 500 mila euro.
Il meccanismo era collaudato: i baby hacker acquistavano banconote contraffatte, carte di credito, carte sim intestate a terzi ignari, documenti falsi come passaporti, carte d’identità, patenti e anche droghe sintetiche da una rete di falsari campani nota con la sigla «Naples Group», che a sua volta affidava la stampa del materiale a una serie di tipografie «volanti» per aggirare i controlli; quindi apriva veri e propri negozi virtuali, dove gli acquirenti ordinavano la merce e pagavano in bitcoin, la criptovaluta usata per le transazioni illecite sul dark web. Poco importa che soldi e documenti potessero finire nelle mani sbagliate, magari a qualche fanatico o a un’organizzazione criminale: ai giovani hacker interessava solo guadagnare. E a giudicare dal loro conto c’erano riusciti. «Questi ragazzi non clonavano il denaro e non scrivevano nemmeno software, ma erano entrati in contatto con dei grossisti che gli vendevano stock di merce – commenta l’hacker etico Raoul Chiesa -. La camorra, perché è di questo che stiamo parlando, non vende al dettaglio ma lascia fare ai ragazzini. L’età degli hacker si è abbassata drasticamente: oggi si comincia a 8-9 anni e si continua alle superiori, magari col supporto di qualche amico. Il 90% dei giovani hacker “cattivi” entra nella spirale del cyberbullismo, ma il restante 10% decide di usare le sue abilità per fare soldi; molti non percepiscono la gravità del reato perché vivono ciò che fanno con distacco psicologico. E anche chi si rende conto di sbagliare, di fronte a certe cifre decide di farlo lo stesso: il dark web consente di guadagnare tanto in poco tempo, protetti dalle password e da un sistema basato sul passaparola che sfugge ai motori di ricerca».
L’input alle indagini infatti è arrivato dall’esterno: «I carabinieri hanno scoperto tutto grazie al ritrovamento delle banconote – dice Mauro Conti, docente di sicurezza informatica e responsabile del gruppo di ricerca Spritz al Bo -. Questa scoperta è la punta dell’iceberg: il dark web offre strumenti alla portata di tutti, anche a un piccolo delinquente come il ragazzo arrestato». Marco Carrai, ex assessore alla sicurezza della giunta Zanonato, ha parlato ieri in aula, come teste della difesa al processo «Pantano» su illeciti nella gestione delle case Ater e altre presunte corruzioni. Carrai ha ricostruito la natura del rapporto economico tra Comune di Padova, associazione Andromeda e la ditta che aveva gestito la sicurezza a una manifestazione per la sicurezza in via Anelli nel 2011 organizzata da Filippo Ascierto, indagato (anche) per truffa: il sospetto è che ci sia il suo intervento nel presunto sovraprezzo fatturato dalla ditta al Comune per le transenne (2000 euro contro un valore 300 euro ricostruito dai carabinieri). Carrai ha ribadito che quel prezzo era stato giudicato «congruo» dall’amministrazione comunale. (r.pol.) La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso dei legali dell’imprenditore Gianni Pagnin in merito al sequestro di 1 milione 886 mila euro fatto dalla guardia di Finanza di Firenze l’anno scorso per un’indagine su smaltimenti di fanghi illeciti in alcuni campi toscani, un’inchiesta che vede indagati Pagnin, che abita a Noventa Padovana, e un altro parente. La Cassazione ha rigettato la richiesta di dissequestro ribadendo la correttezza dell’interpretazione della norma da parte del Riesame, che aveva già negato la liberazione dai sigilli dei beni dell’imprenditore. Il nome di Pagnin è legato al destino della ditta Co.Im.Po di Adria nella quale morirono quattro lavoratori il 22 settembre 2014 per un grave incidente. (r.pol.)