Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La confessione di Salamon: «Quanti errori ho commesso»
Da Doxa ad Altana, le parole a cuore aperto a Ca’ Foscari
«Ho dato troppe deleghe a una persona che nel lungo periodo non era all’altezza del compito. Le ho permesso io di creare una struttura con troppo personale e di legarci a Moncler. Ho confuso l’affetto con le competenze reali della persona e ho aspettato che desse lei le dimissioni dopo un anno di perdite gravi». È una delle confessioni professionali di Marina Salamon, che da imprenditrice ha lanciato la società di abbigliamento per bambini Altana, ma di cui è noto l’impegno con Doxa nell’ambito delle ricerche di mercato e nel digital marketing con Connexia.
Davanti alla Salamon c’è una sala piena di ex studenti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia – in maggioranza laureati in economia. Lei invece in Laguna ha studiato storia e ha appena ricevuto il premio alla carriera dall’associazione alumni dell’ateneo veneziano e poco prima sul palco è stato premiato anche l’imprenditore Matteo Fabbrini. Nel raccontare la propria esperienza – bandita ogni domanda su Benetton – passa in rassegna i propri passi falsi imprenditoriali, inseriti in una lista a scopo istruttivo: «Condivido gli errori, è una cosa che in Italia non facciamo abbastanza: come accade in famiglia o in coppia, anche in azienda ci sono i momenti in cui dire ‘ho sbagliato, ripartiamo da qui’, serve a sciogliere la tensione. Non sono in ordine cronologico – specifica poi -li ho scritti venendo qui».
Il primo riguarda la società «Doxa», di cui è presidentessa, dopo averla acquistata nel 1991. Ci lavorava il padre assieme al fondatore, che poi morì: «L’acquisii da giovane, senza capire nulla di statistica - ammette Salamon – l’ho fatto per amore di mio padre, avevo 32 anni e fino ad allora avevo fatto solo vestiti». Poi prosegue: «Sono stata troppo severa sia con me stessa che con gli altri. E poi ho imparato che conta sempre il lungo periodo. Mai tenere lo sguardo sull’orizzonte dei 12 mesi». Un altro ambito in cui l’imprenditrice è entrata «al buio» è stato quello della Gdo: «Ho fondato un’azienda di Gdo senza conoscere le dinamiche e per questo ho finito per dare troppo potere a un manager che era socio di minoranza – spiega –. Ho avuto l’arroganza di dire ‘ce la farò a fare anche questo’; ma mi ha salvato il mio patrimonio». E anche l’avere grande esperienza in un settore, l’abbigliamento, in cui lavora da sempre, non l’ha salvata da una svista: «Ho sbagliato nel momento in cui ho accettato una partecipazione di minoranza nel marchio Jeckerson, assieme a un fondo inglese molto attraente: in realtà non capiva nulla di abbigliamento e io mi sono fatta abbagliare».
Dopo i mea culpa, l’imprenditrice veneta ha condiviso anche le lezioni apprese in positivo: «Faccio prodotti che non amo, a volte, ma ho capito che i mercati vanno seguiti e che non può comandare il gusto di una persona. Ovviamente dopo aver annusato un po’ l’aria». L’esperienza particolare delle sue aziende – 150 milioni di fatturato, circa mille dipendenti, al 75% donne – è che coniugare carriera e famiglia è più semplice che altrove: «Da noi ci sono molti manager soci – chiarisce - molti sono donne, condividiamo il nostro modo di vivere». «Il problema è l’autostima, come nel motto di Barack Obama «Yes We Can», che per le donne sta ancora mancando – sottolinea l’imprenditrice – la nostra è la prima generazione di donne che lavora e in Veneto abbiamo un tasso di occupazione femminile vicino a quello del Nord Europa».
Ho confuso affetto e competenze fidandomi di persone non all’altezza
Credo che dobbiamo condividere di più gli sbagli: in Italia non lo facciamo