Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il sogno di Marzio Bruseghin
Sopra Vittorio Veneto, l’ex campione delle due ruote fa un vino bio nei terreni di famiglia
Anche un professionista della due ruote può cedere a un certo punto della carriera al richiamo della terra. E’ successo a Marzio Bruseghin, che alle soglie dei 40 ha deciso di cambiare vita. L’ultima stagione agonistica è stata nel 2012, oltre vent’anni di carriera che lo hanno visto sul podio, terzo al Giro d’Italia del 2008. Oggi si è dedicato alla produzione di Prosecco, nella fattoria cha ha acquistato nel 2002 assieme alla famiglia. La prima vendemmia è del 2008, che coincide con l’anno della vittoria in azzurro. Un doppio successo insomma. L’etichetta simbolo è l’Amets, un nome di derivazione basca, una cultura a cui l’ex atleta è molto legato e che significa «sogno», il suo, di bambino, di coltivare la terra come faceva suo nonno. L’azienda agricola è la San Maman, 15 ettari circa in località Piadera, tra i 360 e i 450 m sul livello del mare (l’oliveto arriva a 600), proprio a picco sopra Vittorio Veneto. Il nome si ispira alla piccola chiesa di San Maman, protettore delle nutrici bisognose di latte. La coltura è quella biologica, certificata, per questo la scelta della sorella Sabrina di introdurre, nel contesto ambientale, una quarantina di asinelle che brucano l’erba e concimano la vigna. «L’ultima parte di professionismo ciclistico l’ho vissuto a cavallo con la creazione dell’azienda – spiega Bruseghin -. Non mi stanco mai di dire che per me ha rappresentato il sogno realizzato, il futuro. La terra è una tradizione di famiglia, i miei nonni erano contadini, poi c’è stata una generazione di mezzo che si è concentrata su altri settori: ma è inevitabile, si torna sempre da dove si parte». A 16 anni era già in sella alla bicicletta. «Il ciclismo era uno sport che mi permetteva di stare all’aria aperta. A un certo punto ero stanco dell’eccessivo dinamismo. Il ritiro è giunto al momento giusto, prima di esserne nauseato. Col tempo, in vigna, ho trovato delle affinità: l’allenamento quotidiano agonistico è un po’ simile a quello nella terra, ogni giorno devi impegnarti per ottenere risultati sempre migliori». In produzione un Prosecco extra dry, Piadera, un brut Piadera millesimato e un frizzante «Col fondo» (fermentato in bottiglia), tutti ottenuti con cloni di uve Glera, per circa 50.000 bottiglie. «L’azienda – continua – è stata una forma di azzardo. Si trovava in un territorio poco sviluppato, le infrastrutture, come la strada che permette di accedere più in alto, è arrivata molto dopo l’acquisto. Il proprietario precedente aveva fatto scelte diverse ed era tutto in stato di abbandono, dagli anni ’60 fino al nostro arrivo. L’aspetto pedoclimatico invece è molto favorevole. Dall’incertezza iniziale siamo cresciuti coi nostri prodotti e oggi siamo fieri del lavoro ottenuto. Nel bicchiere portiamo un’identità forte. E tra i progetti futuri oltre al potenziamento degli ettari ci sarebbe la costruzione della cantina. Finora – aggiunge- abbiamo investito sulla vigna e sul progetto di salvaguardia ambientale. D’ora in poi dovremo concentrarci sull’accoglienza e la promozione. Vorremmo iniziare a partecipare a qualche fiera, il nostro mercato è molto ristretto all’Italia, dove va oltre il 70% della produzione, e qualcosa in Europa». Negli ultimi dieci anni, inoltre, c’è stata un’esplosione con l’allargamento della denominazione Prosecco e la domanda ha registrato un’impennata. «Il Prosecco non è un fenomeno – conclude - ma ha trovato un momento storico favorevole che si è sposato con il gusto della gente. Questo ha permesso di mantenere e curare un territorio, altrimenti le colline sarebbero state abbandonate. Ha portato problematiche ma anche ordine, cura. Soprattutto grande attenzione all’utilizzo dei fitosanitari».
L’identità Nel bicchiere portiamo un’identità forte. E tra i progetti futuri oltre al potenziamento degli ettari ci sarebbe la costruzione della cantina