Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Joseph il cosmopolita e le scorribande in Veneto: la guerra persa in Save e partecipazione «calda» in Ascopiave
Per cercare qualcosa che renda in modo piuttosto netto il profilo dell’uomo d’affari Joseph Oughourlian basta andare indietro negli archivi di circa tre anni. In una tormentata primavera del 2014, nel giro di un mese, fra il presidente del fondo newyorkese «Amber» e quello di «Save» (la società di gestione del sistema aeroportuale veneto, di cui Amber possedeva il 20%), Enrico Marchi, scoppiò prima una guerra spigolosa e poi una pace come nulla fosse successo.
Ad accendere le ostilità fu un’intervista a «La Repubblica» in cui Oughourlian, americano nato a Parigi, ma residente a Londra con moglie e tre figlie, si disse «molto preoccupato, perché le gravi tensioni finanziarie della filiera di controllo di Marchi generano il più totale immobilismo».
Al che il presidente di «Save» accusò il socio di essere solo uno speculatore che contraddice ogni sua buona intenzione, attribuendogli la responsabilità di aver fatto diventare il colosso dei rivestimenti architettonici trevigiano «Permasteelisa», con le sue manovre, null’altro che la filiale italiana di una multinazionale giapponese. Ma qualche giorno dopo il rappresentante di «Amber» nel consiglio di amministrazione di «Save», Giorgio Martorelli, non solo approvò il bilancio, ma lodò apertamente l’operato di Marchi.
E basta indietreggiare ancora di pochi giorni per trovare il fondo americano incunearsi in un’altra brillante società quotata veneta, cioè «Ascopiave» e, sempre con una manovra che incrocia Marchi e l’allora socio Andrea De Vido. I due erano azionisti di «Blue Flame», un consorzio di privati che deteneva l’8,7% della Spa di Pieve di Soligo (distribuzione di gas ed elettricità), messa in quei giorni sul mercato e rilevata, per circa la metà, proprio da Amber.
Questo nell’ambito di un’iniziativa con cui «Amber» aveva lanciato un fondo da 350 milioni di dollari dedicato a investimenti nel Sud Europa, interamente sottoscritto da investitori Usa e che prediligeva le medie imprese italiane.
In «Ascopiave» il fondo non manca di distinguersi, ancora attraverso il consigliere Martorelli e in epoche molto recenti, denunciando «conflitti di interesse e logiche politiche che poco hanno a che fare con la gestione di una quotata». Il riferimento, in questo caso, è agli artifici messi in campo dagli enti pubblici soci di maggioranza per cercare di eludere l’obbligo di cedere le quote di una società non funzionale alla propria mission così come imposto dalla «legge Madia». «Amber», in sostanza, reclama la moralizzazione di «Ascopiave» attraverso un salto di mentalità basato sul principio di «separazione netta tra proprietà e gestione».
E ancora «Amber», per tornare a parlare di scali aerei, è quella che nel settembre 2016 decide di uscire da «Save» e di cedere la partecipazione ad «Atlantia», la società infrastrutturale controllata da «Edizione Holding» (leggi Benetton), che detiene il 96% di «Aeroporti di Roma», la quale così a Venezia viene a trovarsi in una posizione «minacciosa» per Marchi. Salvo uscire lo scorso ottobre aderendo all’Opa lanciata da «Save» dopo l’ingresso nella società aeroportuale dei fondi infrastrutturali di Deutsche Bank e «InfraVia».