Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Sparò al ladro: condannato
Il macellaio di Legnaro dalla terrazza ferì a fucilate l’albanese nel cortile di casa. Dovrà anche risarcirlo Quattro anni per tentato omicidio a Onichini. Le urla dei venetisti in aula, bufera politica
Walter Onichini (in foto con la moglie), il macellaio di Legnaro che nel 2013 sparò al ladro nel cortile di casa, è stato condannato per tentato omicidio volontario a 4 anni e 11 mesi e a una provvisionale di 24.500 euro. La sentenza ha scatenato la polemica politica. Le urla dei venetisti in aula: «Vergogna».
È arrivato in tribunale di buon’ora, si è seduto sul banco degli imputati e ha voluto che lo lasciassero solo. Si è alzato in piedi quando il collegio di giudici è entrato in aula, e alla parola «colpevole» ha appoggiato una mano sulla scrivania davanti a lui, quasi a sostenersi. La moglie, dietro, è esplosa in lacrime.
Walter Onichini, macellaio di Legnaro che la notte del 22 luglio 2013 sparò al ladro che gli era entrato in giardino per rubargli l’auto, è stato condannato ieri a quattro anni e 11 mesi per tentato omicidio. Il pubblico ministero aveva chiesto cinque anni. Oltre alla condanna il collegio ha stabilito una «provvisionale» (anticipo di risarcimento) di 24.500 euro, oltre a quasi diecimila euro di spese legali.
I giudici hanno sostanzialmente accolto la tesi dell’accusa: quella notte Onichini voleva ammazzare Elson Ndreca, albanese che all’epoca aveva 25 anni, pregiudicato: «Temevo per mio figlio, pensavo a un rapimento, non volevo ucciderlo», così si è sempre difeso l’imputato. Dopo la lettura della sentenza, Onichini si è allontanato abbracciato dalla moglie e dalla madre. Circondato dalla solidarietà di un centinaio di indipendentisti veneti che lo hanno supportato, come sempre, con bandiere e striscioni, ha usato parole dure contro i giudici e contro lo Stato: «Questa sentenza non è in nome del popolo italiano, il popolo italiano è con me». Poco lontano, dentro l’aula, un coro di proteste e insulti si è levato all’indirizzo dei giudici: «Fate schifo, questo paese protegge i ladri e condanna le brave persone». «Vergogna, traditori», hanno urlato indignati gli indipendentisti veneti mentre il cancelliere tentava inutilmente di riportare l’ordine.
A pesare sulla condanna è stato non solo il colpo di fucile che ha centrato l’albanese, ma anche quello che accadde dopo. La notte del 22 luglio il macellaio e la moglie si svegliarono di soprassalto per alcuni rumori sentiti in giardino. Il macellaio uscì dal terrazzo della camera da letto, che si affacciava sul piccolo piazzale privato in cui era parcheggiata
la sua auto. Quando vide la macchina muoversi prese il suo fucile e sparò al ladro. Immediatamente scese le scale, spostò l’albanese sul lato passeggero, aprì il cancello e uscì di corsa in direzione Saonara: «Volevo portarlo all’ospedale», è la versione che Onichini ha sempre dato prima ai carabinieri e poi al pm Emma Ferrero, che coordinava le indagini. Ma in ospedale il macellaio non arrivò mai: abbandonò il ladro a circa un chilometro da casa, in una strada sperduta tra i campi. Perché? Perché sembra che Ndreca lo avesse minacciato con un coltello.
Una volta a casa, Onichini chiamò i carabinieri. L’albanese venne trovato quasi subito, se l’ambulanza non fosse arrivata in tempo sarebbe morto dissanguato. Il coltello della presunta minaccia non fu mai trovato. Per questo il macellaio venne subito accusato di tentato omicidio: è vero che il ladro gli stava rubando la macchina ma la vita di Onichini non era in pericolo, la sua reazione, lo sparo, la fuga e l’abbandono, sarebbe stata sproporzionata rispetto al rischio effettivamente corso. Ndreca è stato a sua volta processato e condannato a tre anni e 8 mesi, oltre a un risarcimento da definire in sede civile. Ora l’uomo è latitante. In ballo c’è ancora un doppio processo civile: per i danni subiti dallo sparo Ndreca ha chiesto a Onichini 324 mila euro, ma lo stesso macellaio dovrà essere risarcito per il furto subito. Tutto è ancora in divenire.
Intanto ieri è arrivata la condanna in primo grado, il legale difensore Ernesto De Toni dice che la questione non si chiude qui: «Leggeremo la sentenza e poi faremo appello». La condanna quindi è ben lontana dal diventare definitiva. «Walter sta sostenendo spese legali molto costose – ha affermato ieri Lucio Chiavegato, leader di quel movimento dei forconi venetisti stroncato da un’indagine per eversione nel 2014 e sfilacciatosi in mille rivoli che si ricompattano quasi unicamente sulla legittima difesa – Noi ci siamo, lo aiuteremo». E la rivoluzione? «Quale rivoluzione? Questo è un paese irriformabile».