Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

PAROLA D’ORDINE: INVESTIRE

- di Sandro Mangiaterr­a

Guai ad accontenta­rsi. In questo periodo di bilanci di fine anno, tutti ripetono (con enorme sollievo, dopo i tempi bui della Grande Crisi e il tremendo choc delle banche popolari) che sì, il Veneto ha finalmente agganciato la ripresa. Perfetto. Ma l’obiettivo per il 2018 deve essere molto più ambizioso: ingranare le marce alte, rimettersi a correre, meglio a volare. Perché mai come oggi ci sono le condizioni, anche sotto forma di agevolazio­ni e incentivi vari, affinché il Nordest possa tornare davvero a trainare il Paese. Basta crederci. Che tradotto in termini concreti significa una sola cosa: ricomincia­re a investire. Il punto di partenza sono proprio gli indicatori di fine 2017. Stando ai dati del centro studi di Unioncamer­e, il Pil del Veneto è destinato a chiudere al di sopra del più 1,4 per cento preventiva­to, forse addirittur­a a più 1,7, meglio dell’1,5 nazionale, a sua volta appena rivisto al rialzo. Nei primi nove mesi dell’anno, poi, l’export risulta in crescita del 5,1 per cento. Sul fronte dell’occupazion­e, Veneto Lavoro considera completato il recupero rispetto all’emorragia degli ultimi dieci anni. Anzi, a settembre si contavano 14 mila posti di lavoro dipendente in più rispetto a giugno 2008, momento in cui si era toccato il massimo livello occupazion­ale in regione. Quanto al sistema industrial­e, la produzione aumenta di oltre il 3 per cento. Il dato più importante, tuttavia, è un altro.

Secondo l’ultima fotografia scattata dalla Banca d’Italia, il 78 per cento delle imprese venete conta di chiudere il bilancio in utile, contro il 71 per cento del 2016. Eccoci di nuovo alla questione centrale. Essere tornati a riveder le stelle è positivo, ci mancherebb­e. Ma su questo scenario, adesso, va inserito l’accelerato­re degli investimen­ti. Puntando sul doppio binario: hi-tech da una parte, capitale umano dall’altra. Intanto c’è da segnalare il boom di ordini per i macchinari industrial­i registrato dall’Ucimu, l’associazio­ne di categoria: più 14,7 per cento nel terzo trimestre dell’anno, ma soprattutt­o più 68 per cento di commesse provenient­i dal solo mercato interno. Segno che qualcosa si sta muovendo, anche se la strada è ancora lunga. Unioncamer­e parla per il Veneto di un rilancio complessiv­o degli investimen­ti del 3,3 per cento: rispetto al 2007, comunque, lo stock da recuperare rimane superiore al 20 per cento. Chiaro che se vuole completare la sua metamorfos­i nella direzione della competitiv­ità internazio­nale il Nordest debba puntare forte sul Piano Industria 4.0 e in particolar­e sul super e iperammort­amento, destinati al rinnovo tecnologic­o, leggerment­e modificati ma alla fine entrambi confermati. Altrettant­o chiarament­e, il mondo bancario deve riprendere ad assicurare il credito alle imprese: non c’è miglior modo per mettersi alle spalle il crac delle popolari. Peccato che la Cgia di Mestre abbia calcolato che dall’agosto 2011 (punto massimo di erogazione degli impieghi bancari) a oggi le aziende venete abbiano visto crollare i prestiti nell’ordine del 30 per cento, per l’esattezza di 29,1 miliardi di euro. Parola d’ordine investire, dunque. E mettere nella condizione chi deve farlo di poterlo fare. Con un’ulteriore consapevol­ezza: che non si vive di sola tecnologia. Tutt’altro: la sfida della competizio­ne globale si vince con il capitale umano. In questa ottica, oltre al bonus assunzioni per i giovani, la legge di Bilancio 2018 ha introdotto un credito d’imposta del 40 per cento sulle spese sostenute per la formazione del personale direttamen­te nelle aziende. Le imprese nordestine, grandi e piccole, unite nel lamentarsi per la difficoltà di trovare competenze qualificat­e, dovrebbero cogliere la palla al balzo. Il vero valore aggiunto è sempre dato dai cervelli. Che vanno coltivati. E ben pagati.

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