Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La collezione dello sceicco
Calza: «Opera di esibizionisti». I gioielli spariti erano nell’ultima teca e sarebbero i più recenti
La sfida era di quelle impossibili: mettere insieme una collezione di gioielli unici in appena due anni. E anche solo per sperare di poterla vincere, occorreva affidarsi alle persone giuste, a cominciare da Amin Jaffer, un esperto di Christie che è anche un ex conservatore al Victoria & Albert Museum di Londra. Ma soprattutto, serviva un capitale immenso. Come quello di uno sceicco, magari.
È iniziata così l’avventura di Sua Altezza Hamad bin Abdullah Al Thani, membro della famiglia reale del Qatar, una dinastia il cui patrimonio è calcolato attorno a 135 miliardi di dollari. Sfida vinta, naturalmente.
Con la consulenza di Jaffer, lo sceicco ha messo insieme i più grandi tesori dell’artigianato orientale che uniscono oro, platino ma anche pietre rarissime come i diamanti di Golconda, gli zaffiri del Kashmir, i rubini della Birmania o le perle del Golfo persico. Oggetti che meritavano di essere ammirati in tutto il mondo, al punto che, dal 2014 a oggi, alla collezione Al Thani hanno dedicato esposizioni di successo musei come il Metropolitan di New York, il V&A Museum di Londra, il Grand Palais di Parigi. Fino all’evento aperto il 9 settembre e concluso ieri, in modo così inaspettato, al Palazzo Ducale di Venezia: «Tesori dei Moghul e dei Maharaja, la collezione Al Thani». In vetrina 270 oggetti che raccontano cinquecento anni di storia dell’arte orafa legata, per origine o ispirazione, al subcontinente indiano. Dai leggendari gioielli della corte Moghul fino ai lavori commissionati alle più famose
maison europee, a cominciare da Cartier.
A curare l’evento veneziano, oltre a Amin Jaffer (conservatore capo della collezione Al Thani) è Gian Carlo Calza, studioso di arte dell’Estremo Oriente. È proprio Calza a spiegare che ieri mattina «è stata scassinata una vetrina dell’ultima sezione della mostra, quella dedicata allo scambio culturale contemporaneo tra Oriente e Occidente: conteneva degli orecchini e una spilla realizzate da un importante gioielliere». Il nome però non lo rivela. «È europeo, uno dei più famosi al mondo, che lavora per l’India da più di cento anni». Qualcuno come Cartier? «Questo lo dice lei, io non posso...».
Calza, 75 anni, è professore di Storia dell’arte dell’Asia Orientale all’Università di Venezia e ha curato decine di mostre. «Non si tratta di gioielli storici, ma recenti», precisa. Oggetti preziosissimi, sui quali però ballano stime molto diverse: il «valore doganale» sarebbe appena di 30mila euro, ma fonti della questura stimano in realtà in «qualche milione di euro». Calza non si sbilancia: «Io sono un esperto d’arte, non mi interesso di valori commerciali». Sottolinea però alcune cose sul sistema di sicurezza: «I ladri hanno forzato la teca, e non so come abbiano fatto visto che si tratta delle stesse vetrine usate al Grand Palais, studiate da un grande studio di Parigi molto attento alla valorizzazione degli oggetti che contengono ma anche alla loro salvaguardia».
Calza ha una tesi tutta sua sul movente del furto: «La mia impressione è che forse abbiamo a che fare con due ladri che hanno voluto compiere un gesto eclatante, magari per dimostrare la loro abilità. Degli esibizionisti, insomma. Parliamoci chiaro: fare un furto in un posto del genere, in una città internazionale... è quanto meno strano. Ma staremo a vedere per quanto tempo riusciranno a farla franca, probabilmente presto li prenderanno: Palazzo Ducale è pieno di telecamere, chi ha fatto il colpo è uno stupido se crede di poterla fare franca».
La ferita, però, è all’immagine stessa di Venezia nel mondo. «Purtroppo c’è chi, pur di danneggiare gli altri, è disposto a rimetterci di persona. Ciò che è capitato non è certo bello, specie per Venezia è uno sfregio: come italiano sono molto infastidito».
Ora che ha chiuso i battenti, per il curatore resta il ricordo di una mostra «che ha avuto un ottimo successo, grazie all’interesse che lo sceicco aveva di esporre in quella che era la “porta d’Oriente”. A Venezia in queste ore c’è il suo curatore, che doveva seguire le operazioni di smontaggio delle installazioni. E una cosa la sa bene anche lo sceicco: la mostra era coperta da una superassicurazione».