Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Gli «odiati» sacchetti biodegradabili e a pagamento nascono ad Adria «Bene per ambiente e occupazione»
La filiera dei sacchetti biodegradabili, divenuti obbligatori per legge e a pagamento nei supermercati italiani dal primo gennaio per pesare frutta, verdura carne e pesce (oltre ad essere usati nelle farmacie per i medicinali), parte dal Polesine. Nello stabilimento «Mater Biotech» di Bottrighe, frazione di Adria, viene distillato da fonti vegetali il biobutandiolo (Bdo), la materia bioplastica con cui vengono prodotte (con anche amido di mais) le borse, finite al centro di polemiche e dibattiti sui mass media e sui social network.
«Polemiche sbagliate e strumentali — osserva Giampietro Gregnanin, segretario territoriale Uiltec Uil – Oltre al vantaggio innegabile per l’ambiente, il potenziamento del settore porterà molto probabilmente nuova occupazione in Polesine e non solo. Non dimentichiamo, poi, che Novamont ha rilanciato un sito industriale, quello dell’ex “Ajinomoto”, altrimenti destinato a chiudere».
Il nuovo impianto «Mater Biotech» è stato inaugurato nel settembre 2016, compiendo un percorso avviato da Novamont nel 2012 con l’acquisizione della vecchia fabbrica del gruppo giapponese «Ajinomoto» assorbendone prima i 27 dipendenti in cassa integrazione, per ampliare la pianta organica a 51 unità già alla fine del 2015.
Con la compiuta strutturazione dei nuovi cicli produttivi, frutto di un investimento da circa 100 milioni di euro, oggi si impiegano direttamente 75 lavoratori (l’80 per cento dei quali risiede entro 50 chilometri dal sito) e 150 nell’indotto, con 30 mila tonnellate annue di materia lavorata. Nel sistema-«Novamont», il polo di Adria è il punto di contatto tra i centri di ricerca di Novara e Piana di Monte Verna, nel Casertano e le fabbriche di Terni, Porto Torres, Patrica, nel Frusinate, dove il butandiolo realizzato in Polesine, è base per il confezionamento degli shopper in mater bi, la plastica biodegradabile e riciclabile.
A Bottrighe, per la prima volta al mondo, il materiale viene realizzato senza una goccia di petrolio, ma utilizzando un microorganismo, isolato in laboratorio e fatto «crescere» in sette fermentatori ciascuno da 250 metri cubi, nutrito con zuccheri liquidi, azoto, specifiche soluzioni saline. Il ciclo, studiato con la società statunitense «Genomatica», porta al distillato finale. Nulla è scartato: le biomasse di risulta alimentano un impianto interno di cogenerazione.
Il Bdo è materia prima per la produzione di plastiche biodegradabili ed è usato anche nei comparti tessile, componentistica elettronica e industria automobilistica.