Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Non sono immigrato, la Chiesa mi aiuti lo stesso»
L’appello di un ex cameraman di Telechiara: «Senza lavoro da due anni, non ho più mezzi»
All’ombra del Santo, lo conoscono in tanti. Soprattutto dalle parti di via Vescovado. E malgrado lui preferisca non esporsi troppo, la sua storia merita di essere raccontata. Dal 1991 al 2015, è stato un dipendente della Chiesa, lavorando come cameraman a Telechiara, l’emittente tivù della Diocesi. Di fronte al suo obiettivo, sono sfilati vescovi, monsignori, sindaci, questori e prefetti. «Oggi – dice – quando incrocio uno di loro, alcuni cambiano strada, altri invece si fermano giusto per cortesia, due chiacchiere e poi via».
Ha il volto tirato e gli occhi gonfi di lacrime. Pure lui, come tanti suoi ex colleghi, è stato travolto dalla crisi di Telechiara e dal suo assorbimento, finora poco fortunato, in Tva Vicenza. E, a maggio 2015, è rimasto a spasso. «E’ accaduto tutto all’improvviso – racconta – Una sera, il direttore mi ha comunicato che, dal mattino successivo, non aveva più bisogno di me. All’inizio, pensavo fosse uno scherzo. Ma era tutto vero». Il sussidio di disoccupazione, durato due anni, purtroppo è servito a poco. «Mi sono iscritto al centro per l’impiego, ma le poche aziende che offrono qualcosa cercano operai specializzati e giovani e non un 48enne come me, che si è fermato alla terza media e che ha fatto sempre e solo il cameraman».
Sposato e papà di due bambine di 5 e 10 anni, per lui non sembra esserci più posto, nel mondo del lavoro e, quindi, nel mondo tutto. E la rabbia, inevitabilmente, monta: «Ho sempre avuto un grande rispetto per le istituzioni. E, soprattutto, non sono mai stato razzista. Adesso, però, i miei principi stanno venendo un po’ meno. E me ne vergogno».
Per sopravvivere, non gli bastano certo i 300 euro al mese che gli passa il Comune tramite il Ria, il reddito d’inclusione attiva. «Come faccio ad andare avanti così? Devo pagare un affitto di 500 euro al mese e, a marzo, lo sfratto diventerà esecutivo». Un breve sospiro. E poi l’appello: «Vedo che la Chiesa è sempre in prima fila per aiutare i profughi. Bene, io non sono un profugo, ma un padovano che merita di essere aiutato tanto quanto loro. Dunque, mi rivolgo al vescovo Claudio Cipolla. Mi dia una mano. Sono stato un suo dipendente per 25 anni, non può lasciarmi in mezzo alla strada...».