Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Marijuana, al Liviano tanti clienti»
L’appunto di un pusher e le conferme di una studentessa: il «vizio» tra gli universitari
«Dovrei iscrivermi all’università e frequentare il Liviano, lì si che troverei molti clienti». L’appunto trovato tra le carte di uno spacciatore tunisino di 29 anni, ora in carcere perché ritenuto responsabile di una lunga serie di cessioni di sostanze stupefacenti, molte a studenti, e le informazioni raccolte durante l’indagine (ora chiusa) sul pusher e sul suo «galoppino» italiano, apre uno squarcio sul problema droga all’interno dell’università.
«Dovrei iscrivermi all’università e frequentare il Liviano, lì si che troverei molti clienti». Non si parla di libri e nemmeno di appunti. Il core business dell’aspirante studente Soufien Naffati, 29enne tunisino, erano invece l’hashish, la marijuana e l’eroina. Su di lui e sul suo amico e «collega» di spaccio Vito Bellaveduta, 55 anni di Bari, il pm Benedetto Roberti ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il giudizio. L’accusa per entrambi ha a che fare con ripetuti episodi di spaccio nel 2015, avvenuti anche dopo che il tunisino era finito ai domiciliari. Ma è nel corso di una perquisizione che emerge uno spaccato dell’ambiente dello spaccio, degli acquirenti e dei molti giovani che si recavano a casa del tunisino per comprare droga.
Ed emerge che i suoi compratori fissi erano soprattutto studenti universitari. Ma non tutti: quelli del Liviano (Filosofia e Lettere) risultano essere i più numerosi. Tanto che quando i carabinieri entrano nella sua casa a Casalserugo per setacciare cassetti, trovano un appunto che lo straniero aveva lasciato all’amico barese, in cui scrive chiaramente le sue intenzioni, «Dovrei iscrivermi all’università e frequentare il Liviano (sede di Filosofia in piazza Capitaniato ndr), perché lì si che ci sarebbero clienti».
Insomma una vera e propria accusa messa nero su bianco. Le teorie del pusher non si discostavano molto dalla realtà, tanto che durante uno degli interrogatori fatti ai ragazzi pizzicati a comprare droga con l’obiettivo di ricostruire la rete dello spaccio, una delle studentesse sentite ha ammesso candidamente: «Il fumo che ci vendeva Naffati era davvero buono, il più buono di tutti, nulla a che vedere con quello che si trova a Reggio Calabria», ha detto la ragazza, di origini calabresi.
Ebbene sono state dichiarazioni come queste a definire nel dettaglio il quadro accusatorio che ha messo nei guai lo straniero e l’amico barese. Stando a quanto ricostruito dagli investigatori sembra che Bellaveduta si accompagnasse spesso a Naffati, tanto che veniva spedito da quest’ultimo a fare consegne per suo conto anche quando era ai domiciliari, fatto che gli è costato un nuovo viaggetto in prigione a Rovigo. L’italiano è invece stato ammesso alla misura dell’obbligo di firma quotidiana. Le indagini hanno documentato decine di episodi di spaccio continuato sia dello straniero sia del barese. Entrambi hanno precedenti specifici e sono recidivi. Non si contano le indagini per droga che impegnano ogni giorno polizia, carabinieri e Guardia di Finanza. A finire indagati o peggio agli arresti spesso sono gli stessi studenti universitari che si lasciano coinvolgere dai pusher, diventando spacciatori a loro volta. Che al Liviano ci fosse una «forte» richiesta di stupefacente non era mai emerso.