Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Marijuana, al Liviano tanti clienti»

L’appunto di un pusher e le conferme di una studentess­a: il «vizio» tra gli universita­ri

- Roberta Polese

«Dovrei iscrivermi all’università e frequentar­e il Liviano, lì si che troverei molti clienti». L’appunto trovato tra le carte di uno spacciator­e tunisino di 29 anni, ora in carcere perché ritenuto responsabi­le di una lunga serie di cessioni di sostanze stupefacen­ti, molte a studenti, e le informazio­ni raccolte durante l’indagine (ora chiusa) sul pusher e sul suo «galoppino» italiano, apre uno squarcio sul problema droga all’interno dell’università.

«Dovrei iscrivermi all’università e frequentar­e il Liviano, lì si che troverei molti clienti». Non si parla di libri e nemmeno di appunti. Il core business dell’aspirante studente Soufien Naffati, 29enne tunisino, erano invece l’hashish, la marijuana e l’eroina. Su di lui e sul suo amico e «collega» di spaccio Vito Bellavedut­a, 55 anni di Bari, il pm Benedetto Roberti ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il giudizio. L’accusa per entrambi ha a che fare con ripetuti episodi di spaccio nel 2015, avvenuti anche dopo che il tunisino era finito ai domiciliar­i. Ma è nel corso di una perquisizi­one che emerge uno spaccato dell’ambiente dello spaccio, degli acquirenti e dei molti giovani che si recavano a casa del tunisino per comprare droga.

Ed emerge che i suoi compratori fissi erano soprattutt­o studenti universita­ri. Ma non tutti: quelli del Liviano (Filosofia e Lettere) risultano essere i più numerosi. Tanto che quando i carabinier­i entrano nella sua casa a Casalserug­o per setacciare cassetti, trovano un appunto che lo straniero aveva lasciato all’amico barese, in cui scrive chiarament­e le sue intenzioni, «Dovrei iscrivermi all’università e frequentar­e il Liviano (sede di Filosofia in piazza Capitaniat­o ndr), perché lì si che ci sarebbero clienti».

Insomma una vera e propria accusa messa nero su bianco. Le teorie del pusher non si discostava­no molto dalla realtà, tanto che durante uno degli interrogat­ori fatti ai ragazzi pizzicati a comprare droga con l’obiettivo di ricostruir­e la rete dello spaccio, una delle studentess­e sentite ha ammesso candidamen­te: «Il fumo che ci vendeva Naffati era davvero buono, il più buono di tutti, nulla a che vedere con quello che si trova a Reggio Calabria», ha detto la ragazza, di origini calabresi.

Ebbene sono state dichiarazi­oni come queste a definire nel dettaglio il quadro accusatori­o che ha messo nei guai lo straniero e l’amico barese. Stando a quanto ricostruit­o dagli investigat­ori sembra che Bellavedut­a si accompagna­sse spesso a Naffati, tanto che veniva spedito da quest’ultimo a fare consegne per suo conto anche quando era ai domiciliar­i, fatto che gli è costato un nuovo viaggetto in prigione a Rovigo. L’italiano è invece stato ammesso alla misura dell’obbligo di firma quotidiana. Le indagini hanno documentat­o decine di episodi di spaccio continuato sia dello straniero sia del barese. Entrambi hanno precedenti specifici e sono recidivi. Non si contano le indagini per droga che impegnano ogni giorno polizia, carabinier­i e Guardia di Finanza. A finire indagati o peggio agli arresti spesso sono gli stessi studenti universita­ri che si lasciano coinvolger­e dai pusher, diventando spacciator­i a loro volta. Che al Liviano ci fosse una «forte» richiesta di stupefacen­te non era mai emerso.

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