Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Bulle da morire» Se le cattive sono le ragazze
La scrittrice trevigiana Emanuela Da Ros attraverso la voce narrante di un’adolescente racconta la violenza del branco e lo scherno, in un drammatico crescendo di crudeltà. Un romanzo che parla ai ragazzi
Primo anno di liceo. Stefania e Giada sono migliori amiche, da sempre. Giada è mite, introversa, amante della natura, adora passare il tempo libero in campagna, nella stalla del nonno. Forse per questo Eli e Bea, le più belle della scuola, iniziano a prenderla in giro, a emarginarla. Prima è «l’odore di campagna» di Giada: risate, occhiate di scherno, battute che demoliscono. Da lì tutto precipita, in una girandola di violenza che sembra impossibile da fermare. Le «goliardate» (ma c’è davvero qualcuno che riesce a definirle così?) diventano rapidamente abusi quotidiani, sistematici.
È la cronaca feroce di come nasce, si sviluppa e di come annienta il bullismo, raccontata dalla scrittrice e giornalista trevigiana Emanuela Da Ros attraverso la voce narrante di una ragazzina, nel libro
Bulle da morire (Feltrinelli, 160 pagine, 13 euro).
Stefania, l’ex migliore amica di Giada, si rende conto di ciò che sta accadendo, si sente in colpa, ma non vuole essere tagliata fuori dal branco. Così diventa complice delle bulle, ubbidisce alle «cattive», ignora ed emargina Giada a sua volta. Proprio quella di Stefania è la voce narrante, che attraverso emozioni, paura, incertezza, porta dentro questo mondo di adolescenti e tormenti. Stefania un po’ alla volta, per essere accettata (cosa c’è di peggio dell’ostracismo sociale nell’adolescenza?) si trasforma in un clone delle bulle che tormentano la sua amica Giada. Finché la situazione precipita.
Il dramma è dietro l’angolo: una giovane vita sembra arrendersi al dolore e all’emarginazione.
«Eli e Bea mi stavano costringendo a scegliere tra Giada e il resto della classe. Perché avrei dovuto accontentarmi di Giada? D’accordo: era la mia quasi migliore amica di sempre, ma non mi andava di