Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Giurisprudenza, più servizi e meno rigidità»
Intervengo con queste poche righe nel dibattito in corso sulla scuola di giurisprudenza dell’Università di Padova. Muovendo da una premessa, ossia che la scuola di giurisprudenza di Padova è un patrimonio di tutti i giuristi che deve essere conservato e valorizzato. Solo nella prospettiva di fornire un seppur modesto contributo, evidenzio, anzitutto, come l’affermazione secondo cui la qualità deriverebbe da un alto livello di selezione – bocciamo molto quindi il nostro livello è alto - non abbia oggi alcun fondamento e non sia comunque idonea ad attrarre. Si tratta, sotto questo profilo, di comprendere quale sia il modello di studente cui ci si rivolge. Non può essere quello che sceglie di iscriversi a giurisprudenza come scelta residuale o in attesa di sapere quale strada prendere nella vita. Non è questo “tipo” di studente che qualifica la facoltà e che può fungere da parametro per misurare la qualità della scuola. Non aggiunge nulla alla qualità della facoltà la bocciatura in massa di studenti incerti, svogliati o poco motivati. Il modello di riferimento deve essere, invece, lo studente diligente e motivato, lo studente che si laureerà comunque, con buoni voti, a Padova o altrove. E’ questo lo studente che sceglie, che decide in quale facoltà andare in rapporto a quello che gli viene offerto. E’ lo studente mediamente capace di valutare l’offerta formativa e che chiede di essere valutato sulla sostanza della preparazione e non sulla base di formalismi privi di significato. E’ rispetto a questo studente che giurisprudenza deve chiedersi quali servizi è in grado di offrire, senza che la risposta possa essere un elevato grado di selezione. Perché non è questo che interessa o attrae questo studente. Ciò che interessa sono i servizi veri che vengono offerti, oltre alla lezione tradizionale e frontale. Da questo punto di vista mi parrebbe essenziale che la scuola avesse la capacità di aprirsi e di utilizzare altri saperi giuridici. Di instaurare rapporti costanti con la magistratura, l’avvocatura, il notariato, le pubbliche amministrazioni, di proporre “processi simulati” insieme a queste entità, di partecipare attivamente alle loro iniziative, in rapporto di reciproco arricchimento. Di costruire “ponti” con queste realtà che gli studenti potranno attraversare anche prima della conclusione del ciclo di studi (penso, per esempio, alla possibilità di iniziare prima il tirocinio forense). Di superare rigidità che non hanno alcuna ragion d’essere rispetto al riconoscimento di esami sostenuti all’estero, presso facoltà che hanno pari dignità. Cose in fondo semplici. Ma che presuppongono il superamento di una convinzione, forse ancora presente in taluni. Che non serva cercar nulla all’esterno perché tanto il meglio è comunque e ancora sempre all’interno della facoltà. Ecco, se non superiamo questo, tutto davvero diventa una polemica inutile.