Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Ruskin, un pittore fra le pietre della memoria
A Palazzo Ducale una mostra ripercorre la figura dell’artista e studioso. Un messaggio attuale che ripropone il tema della conservazione dei beni architettonici. Allestimento firmato Pizzi
Dedicata a una mente d’eccezione che marcò l’era vittoriana, la prima mostra italiana a lui consacrata, «John Ruskin. Le Pietre di Venezia», curata da Anna Ottavi Cavina e voluta da Gabriella Belli, inaugura oggi a Palazzo Ducale, negli appartamenti del Doge e con una sezione nel Museo dell’Opera. Grande esposizione, delicatissima per materiale esibito e- soprattuttoper il significato sotteso che molto riguarda la gestione del patrimonio artistico veneziano e il declino della città stessa. E se al primo aspetto del problema, cioè alla fragilità delle opere in mostra - un centinaio di acquerelli di Ruskin - ci ha pensato la mano fatata di Pierluigi Pizzi con un allestimento di grande efficacia, che sa salvaguardare e esaltare ciascuno dei supporti cartacei degli splendidi acquerelli, al secondo nodo, invece, dovrebbero pensare i santi, dato che evidentemente noi tutti non sappiamo che pesci pigliare.
La mostra che si avvale di prestiti internazionali – non un solo disegno di Ruskin è conservato nei musei italiani - è sgranata in dieci sezioni tematiche che intendono concertare l’amplissimo spartito di appunti, bozzetti, disegni a matita, china, acquerello, parte della gran mole di lavoro che l’inglese, autore, critico, disegnatore, pensatore – uomo rinascimentale per complessità e varietà di interessi (se il Rinascimento non gli fosse stato così inviso) - elaborò nell’arco della sua esistenza (1819-1900). Al centro della sua opera e dell’esposizione sta Venezia, in particolare Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco, quali esempi del gotico, il momento sublime e perfetto secondo l’inglese, apogeo della coincidenza di etica e estetica, una declinazione del kalos kai agathos in versione tarda. E qui il seme del dubbio si insinua come un tarlo nella mente di chi
guarda e pensa con Ruskin che l’oggi non ha speranza perché è proprio di etica che manca il nostro tempo. Ma tornando agli acquerelli, c’è da incantarsi davanti alla perizia calligrafica del dettaglio nella riproduzione dei marmi dei capitelli ducali o delle arcatelle di palazzi gotici sparsi nella città.
Undici furono i soggiorni di Ruskin a Venezia tra il 1835 e il 1888 e coincisero con sciagurati tempi di restauri o, più esattamente, rifacimenti all’insegna della demolizione dell’antico. Fu proprio la voce di Ruskin che per prima si levò a denunciare gli scempi e che suscitò il problema della conservazione (anche con anticipazioni ambientaliste) dei beni architettonici, sventando empi progetti di sventramenti e pseudo ripianificazione urbanistica. E accanto a questa in seguito ricusata dedizione alla causa gotico-veneziana che fruttò la sua opera più nota, Pietre di Venezia, del 1851-53, John, eclettico e di sensibilità eccezionale, fu colui che a soli 17 anni scrisse una difesa a oltranza della pittura di Turner, attaccato in patria. Amicizia e stima lo legarono al genio della pittura dissolvente in luce: in mostra tre capolavori di Turner su Venezia, irrinunciabili. E se, ostinatamente, Ruskin congelò l’apogeo serenissimo ai primi del XV secolo, fu anche spirito innovativo attento alla modernità, sensibile alla tecnologia: come testimoniano alcuni dagherrotipi, tra cui quello che immortala la Ca’ d’Oro in rovina.
A completare: un itinerario di «pietra» riallestito da Pizzi nelle sale accanto alla biglietteria di Palazzo Ducale, dove è alloggiato il Museo dell’Opera del Palazzo, con le meraviglie autentiche che hanno incantato Ruskin, tra cui il famoso capitello dove è rappresentata la Giustizia. Fino al 10 giugno.