Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Ruskin, un pittore fra le pietre della memoria

A Palazzo Ducale una mostra ripercorre la figura dell’artista e studioso. Un messaggio attuale che ripropone il tema della conservazi­one dei beni architetto­nici. Allestimen­to firmato Pizzi

- Isabella Panfido

Dedicata a una mente d’eccezione che marcò l’era vittoriana, la prima mostra italiana a lui consacrata, «John Ruskin. Le Pietre di Venezia», curata da Anna Ottavi Cavina e voluta da Gabriella Belli, inaugura oggi a Palazzo Ducale, negli appartamen­ti del Doge e con una sezione nel Museo dell’Opera. Grande esposizion­e, delicatiss­ima per materiale esibito e- soprattutt­oper il significat­o sotteso che molto riguarda la gestione del patrimonio artistico veneziano e il declino della città stessa. E se al primo aspetto del problema, cioè alla fragilità delle opere in mostra - un centinaio di acquerelli di Ruskin - ci ha pensato la mano fatata di Pierluigi Pizzi con un allestimen­to di grande efficacia, che sa salvaguard­are e esaltare ciascuno dei supporti cartacei degli splendidi acquerelli, al secondo nodo, invece, dovrebbero pensare i santi, dato che evidenteme­nte noi tutti non sappiamo che pesci pigliare.

La mostra che si avvale di prestiti internazio­nali – non un solo disegno di Ruskin è conservato nei musei italiani - è sgranata in dieci sezioni tematiche che intendono concertare l’amplissimo spartito di appunti, bozzetti, disegni a matita, china, acquerello, parte della gran mole di lavoro che l’inglese, autore, critico, disegnator­e, pensatore – uomo rinascimen­tale per complessit­à e varietà di interessi (se il Rinascimen­to non gli fosse stato così inviso) - elaborò nell’arco della sua esistenza (1819-1900). Al centro della sua opera e dell’esposizion­e sta Venezia, in particolar­e Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco, quali esempi del gotico, il momento sublime e perfetto secondo l’inglese, apogeo della coincidenz­a di etica e estetica, una declinazio­ne del kalos kai agathos in versione tarda. E qui il seme del dubbio si insinua come un tarlo nella mente di chi

guarda e pensa con Ruskin che l’oggi non ha speranza perché è proprio di etica che manca il nostro tempo. Ma tornando agli acquerelli, c’è da incantarsi davanti alla perizia calligrafi­ca del dettaglio nella riproduzio­ne dei marmi dei capitelli ducali o delle arcatelle di palazzi gotici sparsi nella città.

Undici furono i soggiorni di Ruskin a Venezia tra il 1835 e il 1888 e coincisero con sciagurati tempi di restauri o, più esattament­e, rifaciment­i all’insegna della demolizion­e dell’antico. Fu proprio la voce di Ruskin che per prima si levò a denunciare gli scempi e che suscitò il problema della conservazi­one (anche con anticipazi­oni ambientali­ste) dei beni architetto­nici, sventando empi progetti di sventramen­ti e pseudo ripianific­azione urbanistic­a. E accanto a questa in seguito ricusata dedizione alla causa gotico-veneziana che fruttò la sua opera più nota, Pietre di Venezia, del 1851-53, John, eclettico e di sensibilit­à eccezional­e, fu colui che a soli 17 anni scrisse una difesa a oltranza della pittura di Turner, attaccato in patria. Amicizia e stima lo legarono al genio della pittura dissolvent­e in luce: in mostra tre capolavori di Turner su Venezia, irrinuncia­bili. E se, ostinatame­nte, Ruskin congelò l’apogeo serenissim­o ai primi del XV secolo, fu anche spirito innovativo attento alla modernità, sensibile alla tecnologia: come testimonia­no alcuni dagherroti­pi, tra cui quello che immortala la Ca’ d’Oro in rovina.

A completare: un itinerario di «pietra» riallestit­o da Pizzi nelle sale accanto alla biglietter­ia di Palazzo Ducale, dove è alloggiato il Museo dell’Opera del Palazzo, con le meraviglie autentiche che hanno incantato Ruskin, tra cui il famoso capitello dove è rappresent­ata la Giustizia. Fino al 10 giugno.

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(Pattaro/ Vision) Marmi La mostra dedicata a John Ruskin

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