Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Bomba alla moschea, gli «spioni» e i tradimenti tra le fila di Forza Nuova
Il capo della Digos teste al processo: lo scaricabarile tra camerati
Accuse reciproche, veleni, recriminazioni e scaricabarili. La bomba contro la moschea di due anni e mezzo fa, ora ha avuto non poche ripercussioni tra gli attivisti di Forza Nuova.
I dettagli sono emersi nel corso dell’udienza tenutasi ieri mattina al palazzo di giustizia di Padova, dove sta proseguendo il processo a carico di Simone Iscaro e Diego Vecchiato, accusati di danneggiamento aggravato da finalità di discriminazione etnica e religiosa per aver lanciato una bomba carta contro al moschea di via Jacopo da Montagnana la notte tra il 10 e l’11 dicembre 2015. Sul banco dei testimoni è salito Stefano Fonsi, ex capo della Digos di Padova che seguì le indagini coordinate dal pubblico ministero Sergio Dini.
Per comprendere il peso della sua testimonianza, che ha rivelato le «soffiate» partite dal movimento neofascista, è necessario però fare un passo indietro.
Il contesto in cui avvenne quell’esplosione era quello di una protesta, innescata dalle destre, contro la decisione di alcune scuole dell’Arcella di non fare il presepe quell’anno, per non creare differenze tra i bambini cattolici e i tanti di altre religioni che affollano quartiere e classi. Forza Nuova non mancò di criticare i docenti e la sera del 10 dicembre ci fu una riunione nella sezione del movimento, in via Dal Santo, sempre all’Arcella, a poche centinaia di metri dal centro di preghiera. L’incontro, cui parteciparono una trentina di attivisti, terminò alle 22.30 e successivamente Iscaro e Vecchiato cominciarono ad appendere vicino alle scuole i volantini che incitavano i docenti a fare il presepe in classe. Alle 24 scoppiò la bomba davanti all’entrata della moschea.
Stando alle immagini di videosorveglianza si scopre che Iscaro e Vecchiato erano insieme in zona quella notte. Ma a mettere nei guai soprattutto Iscaro è una dichiarazione che il suo capo Vardanega fa il giorno dopo, parlando al telefono con un agente della Digos: «Ho parlato con Iscaro al bar, mi ha detto di aver fatto una cavolata, domani veniamo in questura ne parliamo», questo il tenore della telefonata.
La mediazione del capo avviene in virtù di un accordo con la polizia, che aveva garantito ai vertici dell’associazione che una costituzione spontanea del colpevole avrebbe alleggerito la sua posizione. Il giorno dopo però in questura non si presenta nessuno. Ma a sostegno del racconto del Vardanega (che però poi ritratta) c’è che sul cellulare di Iscaro, sequestrato poco dopo, si trova una conversazione tra i due su WhatsApp in cui Isacro ringrazia il «camerata» della chiacchierata e dei buoni consigli. Tuttavia poco dopo qualcuno lo convince a non confessare un bel niente e a starsene a casa. Poco dopo Iscaro acquisterà una nuova sim da allegare al numero vecchio, e cancellerà tutti quei messaggi: ma è tardi, perché la polizia li ha già trascritti tutti.
Passano i giorni e, dopo le perquisizioni, Iscaro e Vecchiato ricevono l’avviso di garanzia. Seconda soffiata: Vecchiato chiama un agente per fargli capire che la responsabilità di quel gesto è più di Iscaro che sua, scaricando quindi il barile sull’amico. Ma quando il poliziotto lo invita a presentarsi in questura e formalizzare quello che ha da dire, le bocche si cuciono come per magia.